Antonio Ghislanzoni librettista di Ponchielli

Antonio Ghislanzoni librettista di Ponchielli
Vespasiano Bignami, il popolare "Vespa" fondatore della "Famiglia Artistica" milanese, riceveva nel 1869, da Amilcare Ponchielli, un incarico assai delicato: doveva recarsi a Lecco ad assistere alla prima rappresentazione de "I Promessi Sposi" - musicati da Errico Petrella, su versi di Antonio Ghislanzoni - per riferire all'amico in particolar modo sul libretto.
Era questa poi l'occasione buona per allacciare contatti con Ghislanzoni che Ponchielli pensava potesse essere l'unico a fornirgli finalmente un buon libretto. Tale non era sicuramente quello scritto, in collaborazione con lui, dal padre di "Vespa" per i suoi "Promessi Sposi" andati in scena con successo - ma rimasti senza riprese e quindi dimenticati - il 30 agosto 1856 al Teatro Concordia di Cremona.
Da qualche anno - come testimonia il carteggio fra il musicista e i fratelli Bignami (in parte ancora inedito) - Ponchielli pensava al poeta lecchese come suo possibile... salvatore. Nel 1868, per esempio, il Maestro accarezzava il progetto di ridare a Milano il suo "Roderico Re dei Goti", facendo rifare il mediocrissimo libretto del Guidi. Il 4 settembre scriveva a "Vespa": " Desidererei oltremodo produrre un'opera costì, e avrei appunto quella che ho dato a Piacenza, soltanto che occorrerebbe un poeta, e allora sarebbe subito fatto! Non me lo potresti tu accennare? Non sei in relazione con Ghislanzoni? Questi mi occorrerebbe ".
Prima di tentare di ottenere la collaborazione di Ghislanzoni, Ponchielli s'era rivolto al noto librettista verdiano Francesco Maria Piave: "Io sto per compiere una mezza bestialità - scriveva all'amico Vespasiano il 18 giugno 1867 - perciò mi rivolgo a te per un consiglio! Si tratta di gettare al vento 300 franchi. Mi spiego. Sarebbe per un libretto, che per tale somma mi farebbe F. M. Piave. E' una cosa che dico a te solo, perchè non amo divulgarla".
Di quest'affare troviamo cenni nella corrispondenza tra i due amici in data 23 giugno e 2 luglio dello stesso anno: " Rapporto a quell'affare firmai - scrive Ponchielli nella seconda lettera - e vidi il soggetto, e siccome si è obbligato a mostrarmene un secondo, così ora l'attendo. Ma temo sempre d'aver fatto una bestialità atteso i tempi ai quali andiamo incontro. Vedo delle cose che mi fanno presagire l'abolizione della musica, da proibirsi come in certi tempi il cappello alla calabrese. Credo dovrà sortire un proclama in proposito".
Il libretto - "Vico Bentivoglio" - veniva consegnato ma, al momento di apportare le modifiche di comune accordo con il musicista, il poeta si ammalava gravemente, come possiamo leggere in una lettera a "Vespa", in data 5 marzo 1876: "Io sono nato decisamente sotto quella stella che dovrà cadere il giorno della fine del mondo. Già ti immagini cosa ti voglio dire, perchè il caso che ti narro non ti sarà nuovo. Ed è il colpo d'apoplessia venuto al Piave! Figurati! Esso mi deve (o mi doveva se è crepato) aggiustare in alcuni punti il libretto! Sissignore che Gesù Cristo manda al povero uomo una disgrazia. Io dunque ti pregherei di passare al numero 21 in Borgo Nuovo e se non ti incresca salir le scale, domandare un po' contezza della salute di quel povero diavolo! Ho scritto, appena succeduta la disgrazia e che la vidi annunziata sul "Pungolo" alla Croff, ma non ebbi alcuna risposta. Ti prego adunque di questo favore. Farai tanti saluti alla signora Piave a mio nome ed auguri o condoglianze (che m'auguro di no) a norma delle circostanze".
E in una lettera di tre giorni dopo a Pompeo Bignami, fratello di Vespasiano: "Dovrei, anzi devo, pur scrivere che ho forse sprecati al vento 300 franchi per un libretto che tengo di Piave, e l'onor delle armi esige che lo debba musicare! Ti dirò anzi che Piave era interessato vivamente perchè una volta composta l'opera avrebbe parlato per la messa in scena. Macchè! Lo coglie un colpo d'accidente che lo rese di botto imbecille! Vedi se ciò non è proprio adatto a me. Ed è il secondo caso che m'accade. A Piacenza il terzo baritono che doveva cantarmi l'opera, anch'esso coadiuvato da una carezza apoplettica. Prima già, come preludio, tu sai bene caddi dalle mura, poi l'altro baritono sfiatato mi rovina l'opera... E poi parlami di speranze se sei capace! Ah! Meglio interessarsi di patate".
Dopo averlo messo da parte, a distanza di quattro anni, il maestro tentava di musicare il libretto del Piave (lettera a "Vespa" del 13 marzo 1871) senza le modifiche ritenute necessarie: "Vado avanti a pugni con quel libretto di Piave che doveva essere già stramusicato. Ma io non ho più volontà di lavorare essendo sfiduciato in modo spaventevole".
Ma nel 1869 l'attenzione di Ponchielli, come abbiamo già visto, s'era appuntata su Lecco: "Vedi! Io vorrei lasciare sfogare - scriveva il 19 luglio - quest'affare Petrella e vedere in seguito che piega prende questo spartito che darà a Lecco.
E' certo che avrà un libretto migliore del mio, rapporto ai caratteri, al dialogo, alle forme ecc. Ma la musica potrebbe è vero fanatizzare subito ma poi fare come altri suoi spartiti... morire!... E ... allora ecco il momento! Che ne dici? Potrebbe anche avere un esito in tutta giustizia buono e allora, la mia meglio tenerla negli scaffali! Desidero proprio se vai a Lecco sapermi dire dettagliatamente le tue impressioni, il libretto non si potrebbe avere?".
Probabilmente chiamato da Bignami, Ponchielli veniva a Lecco ad assistere a una delle repliche dell'opera di Petrella e, finalmente, conosceva il Ghislanzoni.
In quell'occasione raggiungeva addirittura un accordo con l'impresario Perales per dare anche i suoi " Promessi Sposi " al teatro di Lecco.
In dicembre però tutto era mandato all'aria: "Con Perales non si fece nulla. Mediante Lamperti io potei distruggere quello sciocco compromesso che si fece a Lecco. Non si combinò a Milano presto spero farò tradurre "I Promessi Sposi" in diversi teatri mediante modificazioni al libretto, rese necessarie dopo il libretto di Ghislanzoni. Perciò non so se l'opera sarà data a Brescia ma più facilmente a Torino. Quindi il Lamperti ne farà produrre delle altre. Insomma, forse è venuto quel momento... e vedremo!...".
Ma mentre "I Promessi Sposi" di Petrella trionfavano di teatro in teatro, quelli di Ponchielli dovevano attendere sino al 5 dicembre 1872 per essere applauditi, con libretto ritoccato da Emilio Praga, al Dal Verme di Milano.
E in seguito al nascere delle fortune di quest'opera, che nel giro di qualche anno doveva offuscare la fama di quella di Petrella, Ponchielli poteva finalmente ottenere un libretto da Ghislanzoni.
Il primo contatto lecchese del 1869 si era presto trasformato in amicizia e l'incontro tra i due artisti doveva concretizzarsi con il successo, il 7 marzo 1874 al teatro alla Scala, di un'opera sorta alla loro collaborazione: "I Lituani".
Ponchielli, anche per non perdere più di vista il suo poeta, di lì a qualche anno, acquistava addirittura una casa nel Comune di Maggianico (ora assorbito da Lecco) a pochi metri da quella che aveva fatto costruire il musicista brasiliano Carlos Gomes e dall'albergo Davide, luogo d'incontro estivo degli artisti della Scapigliatura milanese.
A Ponchielli, Ghislanzoni aveva fornito sin dal 1873, il libretto de "Il parlatore eterno", un esilarantissimo atto unico che, protagonista Ignazio Viganotti, era stato accolto trionfalmente al Teatro della Società di Lecco.
Lo stesso poeta doveva poi fornire il libretto per l'opera "I Mori di Valenza" - rimasta musicalmente incompiuta e rappresentata soltanto nel 1914 a Montecarlo, completata dal Maestro Arturo Cadore - i versi per le cantate a Lodovico Ariosto e a Gaetano Donizetti, per il rifacimento del libretto dell'opera "Marion Delorme" e di varie romanze.
Purtroppo, questa feconda collaborazione era troncata il 16 gennaio 1886 dalla morte di Ponchielli che avveniva improvvisamente mentre l'amico poeta era intento a cercare un soggetto per una nuova fatica operistica in comune.
"Caro signor Giulio - scriveva in questa triste occasione Ghislanzoni a Ricordi - vorrei scriverle a lungo per dire del caro maestro ciò che io solo potrei dire. Ma gli volevo molto bene, e il dolore mi scompiglia le idee. Accennerò che nel novembre o nel dicembre quel nostro caro si affannava più che mai alla ricerca di un dramma lirico. Mi scriveva: "Non ho più tempo da perdere, ed io ne ho meno di te, gli rispondevo scherzosamente, perchè ho dieci di più sulla schiena. Mi propose Le Prince Quillak; non lo trovai di mio gusto, gli esposi le mie ragioni e riuscii a distoglierlo da quel tema. Poco dopo, si mostrò innamorato della Teodora di Sardou, e mi chiese quanto ci fosse di vero nella notizia apparsa in qualche giornale che il Catalani mi avesse dato incarico di trattare per lui quell'argomento. Gli risposi schiettamente che infatti il Catalani lo aveva prevenuto e che io avevo preso degli impegni. Se ne rammaricò, era fanatico per quell'argomento, per calmarlo io proposi un altro tema che gli piacque. Nell'ultima lettera che ebbi da lui, in data 3 gennaio, mi diceva: Domani sarò a Milano, ti manderò il dramma; se vuoi, farò una corsa a Caprino, ho fretta di concludere. Dopo avvenne... quello che avvenne. Anche in quella lettera del 3 gennaio, vi sono dei tratti umoristici argutissimi, come nelle altre che io possiedo di lui in gran numero. Nel leggere
uno scritto di Ponchielli, lo si vedeva. Era tanto sincero, e poteva esserlo sempre senza danno o pericolo poichè era uno di quelli che più si rivelano, più diventano simpatici".
Più avanti, in questo toccante documento, il Ghislanzoni scriveva: " A nessun funerale di illustri personaggi furono mai versate lagrime più sincere di quelle che oggi e in appresso si spanderanno sulla tomba di Ponchielli. Ho commesso l'incarico all'amico Rota di gettare un fiore... là dentro. Ella poi, gli dica un addio per me".
GIACOMO DE SANTIS
(da "Pagine di Vita Lecchese 1970-71")
