LECCO
LA CITTA' MANZONIANA
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Quel «gran borgo» che quando il Manzoni prendeva a scrivere la sua impareggiabile «canta favola»; or sono cent'anni, già s'incamminava a diventar città, da un pezzo è ormai un'ampia, moderna e civilmente laboriosa cittadina il cui comune, secondo il censimento 1921, conta 13.141 abitanti e tutto il territorio del circondario 157.354.
Non toccò a Lecco la sponda più amena del magnifico Lario, ma la più imponente e operosa: ché se a' piedi delle alte montagne brulle e negre strapiombanti in più luoghi a dirittura giù nelle acque non si svolgono i deliziosi meandri dei giardini verdi attorno alle ville sontuose, vi si adagiano, o meglio vi si aggrappano, in compenso, gli opifici fumosi d'onde il prodotto del lavoro umano esce in gran copia per tramutarsi in moneta corrente. E questa operosità degna delle fucine favoleggiate nelle latèbre del siculo Mongibello non è d'oggi, ma data da più di cent'anni, poi che già ai tempi del Foscolo le ferriere lecchesi destavano gli echi delle gole montane e delle insenature del lago, onde il grande poeta dal troppo sensibile cuore cantava alle Grazie, nella sua originale concezione sintetica di cose dissonanti, dalle quali sa trarre un concento di amabili armonie:
Così quando più gaio Euro provoca
sull'alba il queto Lario, e a quel sussurro
canta il nocchiero, allegransi i propinqui
liuti e molle il flauto si duole
d'innamorati giovani e di ninfe
sulle gondole erranti; e dalla sponda
risponde il pastorel colla sua piva:
per entro i colli rintronano i corni
terror del cavriuol, mentre in cadenza
di Lecco il maglio domator del bronzo
tuona dagli antri ardenti: stupefatto
pende le reti il pescatore ed ode.

Una prova della importanza economica assunta da Lecco è il suo mercato bisettimanale, mercoledì e sabato, il più frequentato della regione ed uno dei più affollati della Lombardia. Pier Ambrogio Curti nella sua simpatica Guida del Lago di Corno e del Pian di Erba così lo descrive «È detto che il mercato di Lecco sia una gran cosa, massime ai sabati d'ottobre, e ognun vi corre che stia in villa, o lungo il lago, o nel vicino Pian d'Erba, o nella restante Brianza superiore. Gli è che ognuno serve di spettacolo all'altro: giunge una carrozza, ne giunge un’altra, gli uni attendono a vederne scendere gli altri; son persone che si conoscono, che si salutano, che si stringono la mano, si baciano, si scambiano notizie e complimenti; poi a braccetto si passeggia a veder altri, poi si parla e si sparla di tutti; si ingombra il caffè; si impegna a fermarsi per la sera al teatro, che per consueto ha in autunno buona compagnia di canto; poi, se sì, si va all'albergo, il Leon d'Oro o la Croce di Malta, forniti d' ogni comodità; se no dopo un paio d'ore, chi rimonta in carrozza, chi riascende il vapore; gli uni vanno di qua, gli altri di là, tutti ritornano alle loro ville a diffondere alla loro volta le notizie e i pettegolezzi uditi, e a domandarsi spesso: ma infine, che cosa v'era a Lecco? Perché ci si va? E a malgrado che la risposta che ognun si dà a se stesso non contenga grande costrutto pure il sabato successivo vi si ritorna».
Digradando dai colli che fanno scalino a più alte prominenze fino ad affacciarsi sul lago in uno schieramento poco regolare, avendo a sinistra la foce per cui il lago si va pacatamente cangiando in fiume, cavalcato subito da un lungo ponte costruito in tutta pietra al tempo di Azzone Visconti, fra il 1336 e il 1338, rifatto dal conte di Fuentes governatore dl Milano nel 1609, allungato e restaurato più volte, e finalmente pur troppo del tutto trasformato ed agghindato negli ultimi anni con due ringhiere in ferro ai lati, sì che di medioevale non serba neppur l'ombra, e a destra affacciandosi ad un ampio seno cui sovrasta il monte San Martino, Lecco si presenta, a chi dal lago le muove incontro, pittoresca ed amena. Dietro le sta il Resegone con la sua cresta grandiosa frastagliata di denti dolomitici.

SPUNTI STORICI

Che Lecco, di oscure origini, dal nome forse ellenico (latino Leucum, come Leucade, bianca), dopo aver seguite le sorti delle due regioni lariana e briantea dalla favolosa epoca degli Orobi alla formazione dei Comuni divenisse nel medio evo un importante castello, è facile comprenderlo dalla sua giacitura che la poneva al comando d'uno dei primi passi lombardi; ma delle sue fortificazioni non restano che ruderi di torri, una delle quali presso il Municipio, ridotta a carceri, l'altra accanto alla chiesa maggiore, adattata a campanile. Sofferse anche Lecco col suo territorio dell'ambizione delle famiglie più potenti e dei principi, quando i Comuni divennero signorie. Contesa quindi prima fra i ghibellini Longhi ed i guelfi Benalio, poi tra i Rusca e i Visconti, a più dolorose vicende soggiacque per le guerre tra Filippo Maria e la Repubblica di • Venezia, della quale stette alcuni anni in potere (1428-1452), sempre però allo stato insurrezionale, avendovi mantenuto i Visconti e gli Sforza un loro forte partito, e in questo tempo combatterono nel lecchese con varia fortuna i più celebri capitani dell'epoca: Carmagnola, Facino Cane, Piccinino, Colleoni, Cornaro, ecc.
In trambusti guerreschi fu nuovamente il territorio di Lecco quando il Medeghino (Gian Giacomo de' Medici) tentò di formarsi un principato delle terre del Lario e della Brianza e nel 1512 s'impadronì per sorpresa del grosso borgo, intitolandosi conte di Lecco e coniando monete con tale qualifica; poi tornò in quiete, o più tosto in oppressione stabile, sotto gli Spagnoli, per causa de' quali sofferse nel 1629 il famoso saccheggio dei Lanzichenecchi che andavano all'assedio di Mantova e portarono la peste descritta dal Manzoni. Il solo borgo di Lecco, nel contagio, si afferma perdesse 511 persone.
Fragor di guerra rimbombò ancora tra le rocciose montagne del lago nel 1799, quando Francesi ed Austriaci si scontrarono dinanzi al famoso ponte visconteo, che fu mutilato d'un arco d'ambe le parti dai due prudenti nemici. Nel '48 i Lecchesi furono tra i primi popoli rurali che, all'annunzio della insurrezione di Milano, fecero prigioniero il presidio austriaco: quindi armatisi, corsero a Monza, aiutarono quei cittadini a liberarsi dell'imperiale e regia guarnigione e con nuovi rinforzi giunsero a Milano, dove entrarono dal dazio di Porta Comasina, dopo una viva scaramuccia, primo soccorso fraterno dei provinciali ai combattenti milanesi. A Milano tornarono nell'agosto dello stesso anno i Lecchesi per difenderla dal nemico che, inseguendo i vinti Piemontesi, l'aveva investita con grandi forze, ma giunsero quando già era stato stipulato il trattato di resa noto col nome di Armistizio Salasco, e non restò loro che tornarsene e disperdersi in fretta.
«Pochi, ma buoni» veramente sono gl'ingegni fioriti su la terra fertile e nell'aria fina di Lecco. Rammentiamo anzi tutto Girolamo Morone, lo sfortunato ministro dell'ultimo duca di Milano, Francesco Il Sforza, per debito di cronologia, ma più caro agli Italiani è il nome di Antonio Stoppani (1824-1893), geologo e letterato di mente elettissima, probo e liberale sacerdote; e di simpatica luce splende il nome del poeta Antonio Ghislanzoni. Né degni d'oblio sono i nomi dello storico locale dottor Giovanni Pozzi, del musicista Luigi Vicini, dell'intagliatore Giacomo Mattarelli, che dedica ventidue anni ad un modello in legno del Duomo di Milano. Lecchese era pure, com'è notorio, la famiglia dei nobili Manzoni.


I MONUMENTI
Lecco - l'abbiam detto - è una cittadina bella, simpatica, pulita, moderna; ma tutto quel che v'è di apprezzabile, specie dal lato architettonico, non ha grande importanza né storica ne artistica. La sua chiesa prepositurale, intitolata a San Nicolò, situata sopra un poggetto a specchio del lago, è una grandiosa, fabbrica del secolo scorso, architettata dal classico Bovara; la più antica chiesa di Santa Marta venne anch'essa resa irriconoscibile da restauri secenteschi e successivi. Il palazzo municipale, su la piazza del Mercato, d'architettura barocca, nulla più conserva di caratteristico. Solo ha nell'interno un buon ritratto del Medeghino, il leggendario pirata del Lago di Como. Il teatro è un edificio pure di stile neoclassico. Interessanti, se non di prim'ordine, sono a Lecco i monumenti.
Già sul piazzale della stazione, tra il verde dei giardinetti, troviamo il busto in bronzo del Ghislanzoni, del. Bezzola (1894), scultura viva e di moderna arditezza che ben ritrae lo scapigliato librettista dell'Aida, del quale ricorre adesso il centenario natalizio; poi, nella piazza Garibaldi, il monumento in marmo all'eroe di Caprera dello scultore Francesco Confalonieri di Costa Masnaga in Brianza (1884), autore anche del monumento in bronzo al Manzoni nella omonima piazza (1891). Quest’ultima opera rivela tutto lo studio, non solo, ma anche l'amore posti dall’artista nel lavorare un ricordo monumentale che si voleva degno del grande italiano, e l'esito felice dello scopo. Il Manzoni è raffigurato seduto sopra una poltrona imbottita in atto di contemplare il paese scelto a teatro del suo romanzo: i tre diligenti altorilievi pure in bronzo decorano il piedestallo. Dinanzi i due Promessi finalmente sposati a capo del villereccio corteo nuziale: Renzo offre il braccio destro a Lucia, che, timida, rimane indietro, mentre con la mano sinistra, alto levata, toltosi il cappello, saluta con paesana gaiezza bene espressa e dal gesto e dal volto. Da un lato il ratto di Lucia, che invano si dibatte fra le braccia vigorose degli sgherri, e dall'altro il padre Cristoforo che con un gesto imponente mostra a Renzo il suo ricco e borioso rivale disteso mezzo nudo su un pagliericcio al Lazzaretto.
Fra non molto si dice che Lecco, ai tre buoni monumenti che possiede, aggiungerà quello di Antonio Stoppani, altra gloria pura e gentile di questa simpatica cittadina.


LE MEMORIE DI A. MANZONI
Lecco ed il suo territorio hanno un'importanza grandissima, tra i primi luoghi d'Italia, per essere stati scelti a scenario dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Perciò per dire Bene di Lecco io credo necessario accennare alle memorie che A. Manzoni vi ha lasciato di sè e dell'opera sua.
E’ noto che la famiglia Manzoni era originaria da Barzio nella Valsassina, la valle incantevole che da Ballabio sopra Lecco, si prolunga formando un gran gomito a Bellano. Ma il bisavolo di A. Manzoni nel 1710 era disceso a stabilirsi a Lecco, in una località detta il Caleotto, e nella cronachetta dei Cappuccini di Pescarenico, nel 1717, si fa già cenno della signora Margherita Canzona - singolare benefattrice - che aveva eseguito dei ricami per la chiesa del Convento.
Però la casa settecentesca della famiglia Manzoni, ancor oggi esistente, fu ricostruita certamente dopo il 1770, essendone stato architetto l'abate Giuseppe Zanoia, canonico di Sant'Ambrogio e professore di architettura all'accademia di Brera in Milano, il quale nacque nel 1752.
Intorno alla bella casa si irradiavano i possedimenti della famiglia Manzoni, che si prolungavano giù fino a Pescarenico contro l'ortaglia del convento, e su oltre Acquate e Germanedo fino al Pizzo d'Erna, il più grande contrafforte del Resegone.
Don Alessandro è il primo della famiglia che nasce a Milano, e se la grande metropoli lombarda ha avuto la fortuna di avergli dato i natali, lo deve ad una debolezza della madre Beccaria, la quale dimostrava poco affezione alla vita provinciale, e tendeva a tirare tutta la famiglia verso la città. Ma il neonato Alessandrino, è mandato subito a respirare l'aria pura delle sue valli e dei suoi monti. Egli è collocato a balia, alla Costa, una cascina che fa parte dei Comune di Galbiate, sulla cresta della collina che dipartendosi dal monte Barro sale verso Mozzana e da dove si gode un panorama che sembra incantato. L'antica cascina ora si chiama Alessandro Manzoni, e la culla che ha ascoltato i primi vagiti del grande poeta, dopo aver raccolto altri bambini di più umili condizioni, ora è andata a finire nel museo di Lecco insieme ad un altro cimelio interessantissimo: il corredo di battesimo.
Passati i primi anni d'infanzia, il ragazzetto veniva posto a studiare in collegio; ma al ritorno delle vacanze egli correva lassù a rivedere i suoi monti ed il suo lago. Ma vi sarà stato volentieri? Io oso supporre che no; chè la caccia dei copertoni nel suo paretaio presenta aspetti di crudeltà verso gli animali e niuna valutazione del tempo, che poco dovevano adattarsi alla sua mente laboriosa ed alla raffinata bontà del suo animo.
Forse quando l'altrui volontà l'avrà obbligato a rimanere accovacciato là dentro, avrà spiato attraverso le feritoie i mutevoli e pittoreschi aspetti del lago, e il partire e il tornare dei pescatori, e forse fin d'allora avrà notato i particolari dello staccarsi delle barche dalla riva, di cui dettava poi l'impareggiabile descrizione.
Antonio Stoppani, che più tardi veniva a villeggiare nell'ex convento dei Cappuccini ed era anche diventato proprietario del paretaio Manzoni, narra che il Lisandrino una sera era venuto a Pescarenico mentre nella chiesa si impartiva la Benedizione col SS. Sacramento, e un padre l'aveva invitato a servire da chierichetto. E dice, che quel fatto doveva aver lasciato una profonda impressione nell'animo del fanciullo, che non dimenticava più quel padre, forse il Padre Cristoforo da Barzio probabilmente suo lontano parente, tanto che avrebbe tolto da lui il nome e la personalità fisica e morale, per tratteggiare la magnifica figura del suo personaggio immaginario.
Aleesandro Manzoni continua a ritornare alla cittadina de' suoi antenati fino all'età di 33 anni, tanto che si sa di certo, che fra i 31 e:32 anni egli era a capo dell'amministrazione comunale di quel gran borgo. Si vuole anche, ma forse saranno dicerie, che il tipo, dell'Azzecca Garbugli l'abbia tratto appunto da un suo avversario elettorale.
Nel 1818, per dissesti finanziari provocati dal suo procuratore disonesto, egli doveva vendere tutte le case ed i luoghi avuti dall'eredità paterna, ed accontentarsi della villeggiatura di Brusuglio, che gli era venuta dalla mamma come eredità dell'Imbonati. Certo, Manzoni avrebbe preferito conservare la casa avita, dove nella cappella di famiglia era sepolto il padre suo, dov'egli era cresciuto, dove lo richiamavano tante memorie!
Lassù egli si interessava di agricoltura, e con competenza, come ne fa fede anche la scientifica descrizione dell'ortaglia di Renzo, aveva di fatto condotta egli stesso l’acqua nel suo giardino; e lassù al ritorno di Parigi aveva curato la decorazione del grande salone, a grisaglie mitologiche, secondo l'uso del tempo. Io oso credere che l'immortale Romanzo, abbia avuto origine appunto dal suo grande dolore in dover abbandonare quei luoghi che gli erano impressi nella mente non meno che lo sia stato l'aspetto de' suoi più familiari. Quell'addio inimitabile ne rimarrà la più grande prova !
Alessandro Manzoni nel tracciare il disegno del suo capolavoro, ha fatto come un artista che intende dipingere un quadro., non semplicemente realistico, ma pieno di poesia e di spiritualità. Egli ha scelto un ambiente poetico, il suo : vi ha segnato alcuni punti, che pur essendo tratti dal vero, concorrono all'armonia della sua descrizione ; il lago, il Resegone, Lecco, Pescarenico, e poi vi ha raggruppato intorno trasportandoli a piacere, quegli altri luoghi della valle che maggiormente lo interessavano, nascondendone il nome che sarebbe tornato oramai dannoso all'azione di tempo e di luogo che erano nella sua mente, e svestendoli di tutti quei particolari che artisticamente avrebbero nociuto.
Egli descrive, ad esempio, il Palazzotto di Don Rodrigo. Chi ha voluto cercarlo dietro le indicazioni del romanzo, è riuscito col rompersi il capo inutilmente ; invece la voce comune lo ha sempre indicato su allo Zucco di Olate. Su quel promontorio esiste ancora una bella costruzione cinquecentesca, che fu degli Arrigoni e nella quale, ai primi del secolo scorso, facevano convegno i patrioti. Forse ad alcune di queste riunioni prese parte anche il giovane Manzoni e forse in alcuna occasione può essere stato. accolto con poca cortesia qualche padre del convento. Così egli descrivendo la sala del dottor Azzecca Garbugli, parla dei dodici Cesari. Questi dodici Cesari erano invece appesi nella sua casa al Caleotto ed ora cinque di essi sono passati dalla famiglia Scola che ne aveva comprato lo stabile, al museo di Lecco.
Chi vorrà trovare il paesello di Renzo e di Lucia, dovrà almanaccare per un pezzo. Alcuni lo vogliono ad Acquate, altri ad Olate. Ma in un caso non corrisponde la posizione della chiesa, nell'altro non corrisponde quella del bivio col tabernacolo, e per nessuno la distanza dallo Zucco. Nel romanzo si legge che l'ombra acuta del campanile proiettata dalla luna, si rifletteva sulla piazza della chiesa.
Nè il campanile di Olate nè quello di Acquate hanno il cono cestile come parrebbe indicato dalla descrizione. A meno che non si voglia dire, senza documentarlo, che il campanile piatto di Acquate sia stato smantellato ; e sarebbe il solo che per il, giro della luna potrebbe dare l'ombra sulla piazza della chiesa. In tutto il territorio di Lecco, l'unico campanile coronato da un cono cestile è quello di Malgrate, ma nessuno crederà che questo possa essere il paese di Lucia; così sulla strada di Malgrate s'incontra ancora uno di quei tabernacoli con anime e fiamme a color di mattoni; ma pur qui sarebbe temerario cercare il bivio dei bravi.
Si sa però che Manzoni giovanetto si recava a Malgrate in casa Agudio. Non è improbabile che nel suo viaggio, come si sarà intrattenuto a guardar dal ponte l'acqua passare, così avrà notato anche quel campanile e quella cappelletta; pur ammettendo che un altro bivio su ad Acquate, ed al quale ora è crollata la pittura, abbia inspirato la sua descrizione.
È certo che il Manzoni dalla sua bella casa, allora fuori alla libera campagna e dove si arrivava e si partiva per strade e stradette ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, ogni tanto elevate su terrapieni aperti, egli aveva innanzi spiegato tutto il magnifico panorama che ha descritto nel suo gran Libro. Tra magnifiche quinte di cipressi annosi si ammirano le guglie del Resegone, dal balcone si può godere il lago, l'Adda e poi il lago ancora fin giù a S. Gerolamo dove si vogliono trovare le rovine del Castello dell'Innominato.
E quando egli ha dovuto allontanarsi da quei luoghi incantevoli e tanto cari, ha sentito il bisogno di parlarne e farli celebri in tutto il mondo. Giunto poi a tarda età, una volta che l'ing. Scola, il nuovo proprietario della villa, lo era andato ad invitare perchè si compiacesse di rivedere le antiche possessioni, egli aveva chiesto con fare melanconico se esistevano ancora le sue grisaglie, il suo lampadario di Murano, il suo calamaio con la Maddalena, i suoi mobili e sopratutto i cipressi del suo giardino ; ma lassù non aveva più voluto ritornare per non aprire nel suo cuore una troppo dolorosa ferita ». (Arch. D. G. POLVARA)


LA VALLE DELL'ADDA
Avanti di prendere corso e figura di fiume, l'Adda, uscendo dal lago di Lecco, forma una serie di laghetti chiamati, dal nome dei paesi più grossi che vi si specchiano, Lago di Pescate, davanti a Pescarenico, Lago di Garlate, da Maggianico, a Calolzio, Lago d'Olginate fra questo paese e Calolzio che gli sta di fronte. Passato Pescarenico, su la sinistra del laghetto di Pescate, sorge Maggianico, luogo assai ricercato dai villeggianti per la sua amena giacitura, sebbene poco elevata, sul lembo del Magnodeno, ch'è uno sprone del Resegone. Due pale d'altare, una del Luini, l'altra di Gaudenzio Ferrari, accrescono l'importanza della sua bella parrocchiale. Numerose le ville. Il cremonese Ponchielli si compiaceva di riposare in Maggianico e di convitarvi molto frugalmente gli amici. Qui ebbe una villa anche il celebre operista brasiliano. Carlo Antonio Gomes di Campines (1839-1896). Presso il paese il torrentello Cino forma una cascata e v'è anche una copiosa sorgente d'acqua solforosa fredda utilizzata per malattie cutanee, con apposito stabilimento. E' frazione di Maggianico il paesello di Chiuso. Continuando su la riva sinistra s'incontra Vercurago, esso pure alle falde del Resegone, ma già in territorio di Bergamo, d'onde si può salire a Somasca, al santuario (294 m.) fondato nel 1528 dal patrizio e filantropo Girolamo Miani. Sopra Somasca è quella vetta dirupata che reca le rovine d'un vecchio castello attribuito all'Innominato. Nelle immediate vicinanze è Calolzio, a cavaliere delle due valli di S. Martino e d'Erve, ben visibile anche dall'estremità occidentale della Brianza per il suo fitto aggruppamento di case e di ville biancheggianti arrampicate anch'esse su le propaggini del Resegone e discendenti fino alla sponda del Lago d'Olginate, proprio come branchi di pecore pascenti. Domina il paese una bella chiesa della prima metà del secolo XIX, progettata dal Moraglia, cui si accede per una lunga scalinata in pietra. Un alto pronao su grandiose colonne monolitiche scalpellate da un immane masso erratico introduce al tempio. Convegno di alpinisti per la partenza e per il ritorno, Calolzio è altresì ricercato dai villeggianti ed il vecchio paese è ormai sopraffatto dal numero delle ville deliziose, cinte di giardini fioriti ed ombrosi, taluno gemmato di statue, eco lontana delle magnificenze lariane e della Riviera Ligure.
A circa quattro chilometri da Calolzio, ma più alto, Rossino, propizio anch'esso alle belle villeggiature e ben visibile da lontano, specie per il suo rinnovato castello dalle estese mura merlate, che contrasta alle ruine di Somasca l'onore di avere appartenuto all'Innominato. Sotto Rossino, il grazioso villaggio di Corte.
Non volendo però addentrarci più oltre nella Bergamasca, volgiamoci all'altra sponda dell'Adda, contemplando intanto il superbo scenario delle boschive montagne dell'alta Brianza orientale dominate dalla bella vetta del San Ginesio ammantata d'una folta criniera di cipressi fra i quali occhieggia il candido eremo camaldolese dei figli di S. Romualdo (859 metri). Passato il lungo e svelto ponte gettato sul laghetto d'Olginate, troviamo subito questa degna borgata industriale, che se può invidiare a Calolzio i vantaggi estetici e panoramici dell'aprica posizione, in compenso gode d'un'aria più fresca, riparata com'è alle spalle dal sole. Da Olginate dirigendoci verso il Milanese si entra nella verdissima Valgreghentino, terra di agricoltori, tutta quiete, che elevandosi fin sopra i 300 metri gode d'un gran colpo d'occhio su la valle dell'Adda, la quale, sempre più allargandosi a misura che si restringe il corso del fiume, si introduce dalla destra nella ridente Brianza, dalla sinistra sul fervido Bergamasco.


VALMADRERA
Ma se da Olginate ci riaccostiamo al lago di Lecco, incontriamo i colli che separano la valle dell'Adda da quella d'un altro lago, il piccolo bacino d'Annone o d'Oggiono, e uno dei primi paesi è Galbiate, a 370 m., a cavaliere delle due valli, unito da buona strada con Oggiono e con Lecco. Affrancatosi dalla servitù feudale nel 1671, rimase preferito soggiorno di nobili e di agiati borghesi, così che è ricco di palazzotti e di ville, fra cui notevole quella che il barone Pietro Custodi, economista e storiografo, continuatore della Storia del Verri, si fece fabbricare sopra un vecchio convento di cappuccini del sec. XVI, risparmiandone la chiesa e parte del chiostro. Alla Villa Sanchioli esiste un'eco che ripete fino ad un endecasillabo. Grandiosa è la chiesa, ardito e slanciato il campanile architettato dal Brioschi nel secolo scorso. Da Galbiate si può salire al Barro (922 m.) in circa due ore, senza gran fatica. Presso la vetta è un albergo. Da questo monte si gode un'amplissima veduta panoramica, e sopra di esso riferiva Plinio esser voce che fosse esistito un « oppidum Orobiorum Barra », un castello degli Orobi chiamato Barra, dal q Tale sarebbe disceso il popolo che fondò Bergamo. A mezza costa del monte, verso Lecco, è un'antichissima chiesa di S. Michele di cui parla lo Stoppani nel suo bozzetto La sagra di S. Michele, festa celebrata su quelle balze il 29 settembre. Discendendo a Pescate, davanti al ponte visconteo, e continuando su la sponda del lago, si giunge a Malgrate, grosso e bel paese che sorge in faccia a Lecco. In esso avevano casa gli Agudi, ed allora che n'era proprietario il canonico Candido, il Parini vi godè ospitalità e vi scrisse parte del Giorno. Il contemporaneo Balestrieri, poeta meneghino, ivi pure voltava in dialetto la Gerusalemme Liberata. La chiesa possiede buoni dipinti di Cherubino Cornienti pavese (1816-1860), l'Annunciazione e la Natività. Una ventina di metri più sopra sorge il grosso paese industriale di Valmadrera, che dà il nome alla piccola plaga circostante. L'industria serica, che vi è rappresentata da vari opifici, ed altre minori industrie fecero prosperare assai la economia del comune, conferendogli altresì un aspetto di civile benessere. La monumentalità della chiesa è dovuta ai progetti di Simone Cantoni eseguiti poi in parte dal Bovara, e secondo il Ghislanzoni portò « in quella valle, melanconica e solitaria, un frammento della grandezza e della pompa romana ». Le quattro colonne monoliti che della facciata vennero tolte, al solito, da un masso erratico non molto distante. L'interno fu decorato d'affreschi dal Sabatelli che vi dipinse l'Apocalisse.
V'è pure un quadro del Lomazzo, Cristo e S. Antonio, e vi sono sculture di Benedetto Cacciatori. Di opere d'arte sono decorate anche le splendide ville dei Gavazzi, fra i primissimi setaioli del Lecchese.
Dalla Valmandrera si accede alla Valle dell'Oro, di cui è centro Civate, e che già è Brianza, dominata dagli alti Corni di Canzo (1372 m.) che il Torti cantò
O selvose montagne o gioghi erbosi,
o di lontan sovreminenti al verde
cornuti massi...

Al di là dei Corni di Canzo è la Valbrona, parte della Valassina. Dalla Valbrona, più tosto che lungo il lago di Lecco, privo da questo lato di strada praticabile, si discende per una recente e pittoresca strada ad Onno, solitario paesino che divide con Parè, Vassena e Limonta, più prossimo quest'ultimo a Bellagio, e rivelato al mondo dal Marco Visconti del Grossi, l'onore dei sedere su questa riva del lago che le alte montagne a ridosso, nude e dirupate, strapiombanti, cupe e ferrigne, giù nelle acque, rendono soverchiamente dominata dalle ombre e priva dei benefici del sole, malinconica e solitaria. Da Vassena una funicolare aerea per passeggeri, la prima del genere costruita in Italia, collega quel punto della riva con Civenna in Valassina.


VALSASSINA
La via per la Valsassina si apre in. Lecco stessa movendo dalla stazione ferroviaria, traversa la grossa borgata di Castello, ormai subborgo. della città, e San Giovanni alla Castagna - bella parrocchiale dov'è sepolta la poetessa Francesca Manzoni (1710-1743) nativa di Barzio, che imparò molte lingue, si approfondì in varie scienze, fu accademica di più dotti sodalizi e morì di appena trentatrè anni - affacciandosi sul verde dei campi e dei giardini e sui folti abitati industriali. Le acque discendenti dalla montagna recano la forza dinamica agli stabilimenti e tutta la Valle del Gerenzone è teatro di una sana operosità. Usciti da San Giovanni, si trova il Ponte di Malavedo (364 m. ed il villaggio omonimo con ferriera. Impressionante, vista di qui, la muraglia verticale del Monte Coltignone, alta 400-m- senza sporgenze. A 420 m. d'altezza è Laorca, sul Gerenzone, sito in una angusta valle pure industrialmente operosa come moltissime altre località della vallata. Poco sopra Laorca è una grotta, pittorica, ma di scarsa importanza.
Sorpassato il Ponte di Gàina (m. 441) ed il ponticello sul Gerenzone, salendo per altri duecento metri circa si perviene all'Albergo del Ristoro, dal cui sito lo sguardo spazia con intensa soddisfazione dal candido aggruppamento dell'abitato di Lecco, alla verzura ingioiellata di paesi e di ville del Piano d'Erba. Eccoci finamente su le alte soglie della Valsassina superba ne'. suoi manti di smeraldo, con la gola per cui transita il torrente Grigna e la conca di prati lussureggianti che prende nome da Ballabio. Ma tal nome è diviso fra due abitati Ballabio Inferiore (653 metri), a piè del Pizzo Sodatura, cioè sul prolungamento settentrionale del Resegone, con una chiesa ridotta ad abitazione che conserva avanzi di pitture quattrocentesche sopra una parete, e Ballabio Superiore (732 m.), che comanda l'ingresso d'uno dei va!~ Ioni formati dai contrafforti della Grigna meridionale ed è su la via più consigliata per salire a quella vetta. Questi luoghi producono cereali e vini e dànno anche del ferro, ma uno dei maggiori traffici è il deposito che qui si verifica, grazie alla particolare benignità climatica, degli stracchini di Gorgonzola della Bassa lombarda, che nelle « casere » di Ballabio compiono la loro maturazione prima di essere asportati. Superato 'il colle di Balisio, con ripida discesa si giunge ad un altro paesino montagnardo il cui nome indica già il mestiere degli abitanti : Pasturo (641 m.), dove Renzo, se lo ricordate, trovò Agnese dopo la peste. Accampato alle falde orientali della Grigna settentrionale, cui di lì si può salire in quattr'ore, esso è una consigliabile tappa per gli alpinisti, che di fatto lo frequentano. assai, facendolo progredire. I pascoli rigogliosi e le dense boscaglie lo beneficano di vive tinte e di deliziose frescure.
Nella sua alpestre semplicità è rimasto Bajedo (632 m.), poco oltre e dalla stessa parte di Ballabio, villaggio di mandriani che in estate popolano le baite montanine e producono ottimi latticini. Altri due paesi di vario aspetto, a destra di Pasturo e di Bajedo, sono Cremeno (797 ml) e Barzio (770 m.), ambedue residenze di bovari e formaggiai. Nel secondo nacque la poetessa Francesca Manzoni che trovammo sepolta a S. Giovanni alla Castagna. Valicata la pittoresca stretta d'Introbio ed il Ponte Chiuso (563 m.), per pochi metri si sale al paese da cui si denomina la strozzatura. Introbio (586 m.), capoluogo della Valsassina, i cui abitanti sono maestri nel fabbricare stracchini e robbiole molto pregiate anche all'estero, specie a Londra, dispone anche, nel territorio, di miniere di barite, minerale bianco ponderosissimo che si usa per appesantire la carta, dopo una opportuna macerazione che si eseguisce a Calolzio. Dominante le strade di Lecco e di Bellano. irrigato dalla Pioverna, torrente dalle trote eccellenti, reso più maestoso e pittoresco da una bella torre medievale che serve di campanile alla sua chiesa, Introbio é anche punto di partenza di magnifiche escursioni. Interessante quella alla Cascata della Troggia, detta Paradiso dei cani. cui si giunge in una ventina di minuti e che si rivede nella ben maggiore ascensione al Pizzo dei Tre Signori, passando per la Valle di Biandino. Una teleferica va calando a Introbio la galena argentifera della miniera di Camisolo. Superate le Baite della Scala (m. 1380), duecento metri più sopra si trova l'altipiano di Biandino con piccola capanna privata per riposarsi. Dal lato della valle ecco le grandi pareti del Pizzo, un tempo confine tra il Canton dei Grigioni, il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, tutte di porfido rosso. Più in alto (m. 1912) il romito laghetto alpino del Sasso, poi la Bocchetta di Piazzocco e splendido panorama su la Valle dell'Inferno, in Valtellina. Quindi la vetta (m. 2554).
Dopo Introbio, alla medesima altezza, il povero paesino di Barcone, pur dedito all'industria casearia : segue Primaluna (550 m.), luogo d'origine di quei montagnardi signori che furono i Torriani, i quali dai loro nidi d'aquile della Valsassina scesero a dominare Milano. Castello di prim'ordine nel loro vasto feudo fu Primaluna, ma non resta oggi che un moncone di torre. Altri paesi che nulla offrono oltre le delizie della splendida natura che li ricinge, ed è già dono munifico e salutare, sono Pessina (570 m.), Cortabbio (metri 527), in magnifica posizione dinanzi allo scosceso versante, settentrionale del Moncodeno su cui si trovano ghiacciai e nevai che gli abitanti utilizzano per conservare i loro prodotti caseari, Cortenova (414 m.), Esino Inferiore (750 m.) ed Esino Superiore (812 m.), teatri di panorami indescrivibili, Bindo, villaggio di pastori nel fondo della valle, Parlasco (688 m.) dotato di ferro. Crandola (769 m.), paese di carbonai con una miniera argentifera, Margno (717 m.), e finalmente Taceno (507 m.) con acque ferruginose ed albergo, non lontano da una centrale elettrica di 3000 HP. Presso il Ponte di Taceno (m. 435), che cavalca la Pioverna già avviata al lago di Lecco, il velario delle montagne sembra chiudere la Valsassina : al di là è un'altra valle che si apre, la Val Muggiasca, che prende nome dal Monte Muggio (1791 m), alto fra i due bacini della Pioverna, con sbocco a Bellano, e del Varrone, con foce a Dervio.


IL SAN MARTINO ED IL RESEGONE
Non si può descrivere il manzoniano territorio lecchese e tralasciar di dedicare alcune righe ai due monti che il Manzoni rese popolarissimi : il S. Martino ed il Resegone. Ma per compiere il nostro cómpito col rispetto dovuto a tutta una tradizione letteraria ch'è la più simpatica fra quante ne conosciamo, dove troviamo di poterlo fare con la penna dei più illustri e cari seguaci de grande lombardo, no-i7 esitiamo di cedere il campo. Ecco dunque come A più garbato e il più dotto dei manzoniani, lo Stoppani, descrive il Monte S. Martino:
«È un monte fantastico, vedete; tutto una rupe, nuda, aspra, angolosa, degna di campeggiare in un'epopea di giganti. La città di Lecco si appoggia da tramontana a quello stempiato macigno e gli è obbligatissima che, slanciandosi ritto come un muraglione ciclopico, difenda, se non lei propriamente, almeno il suo ridente territorio dai gelati aquiloni, e riverberandovi i raggi solari, spesso vi anticipi la primavera nel cuor dell'inverno.
« Il San Martino sorge col suo fianco occidentale immediatamente dal lago, come una bastia di pietroni a picco, quasi dappertutto inaccessibili, da cui le frane sterili ed aspre discendono sino al fondo di quello specchio del più cupo azzurro, che s'inabissa a' suoi piedi fino alla profondità di 150 metri. Più su, quella parete a piombo si alza a scaglioni giganteschi, formando di tratto in tratto pianerottoli e piani inclinati, sempre intramezzati da altre pareti a picco. Da mezzodì, ove la montagna è pia nuda, sporge innanzi nuda nuda la fronte, e nel mezzo di questa si apre un antro spazioso, come una gran cicatrice, o come l'occhio di Polifemo: segno probabile, come ce n'ha tant'altri nelle Prealpi, che il mare una volta ci avventava i suoi flutti. Intendetemi bene. Non è che il mare si levasse fin là; gli è che il San Martino, come le Prealpi e le Alpi, come tutte le catene del globo, sorsero dal mare ; e quindi ci fu tempo che le conchiglie e i pesci del mare abitavano quegli stessi crepacci, ove ora s'annidano il passero solitario ed il falco; e come oggidì sulle coste della Calabria e della Sicilia, così allora, al piede delle montagne nascenti, rimbombavano gli antri scavati dalla tempesta.
«Al disopra di quella rupe e di quella caverna, la montagna, continua a salire in forma di piramide, o piuttosto di pina composta di rupi acute e vertiginose. Dal vertice di essa si discende verso oriente, sempre d'un modo, fin dove la base della montagna è rosa all'ingiro dalla Galavesa, detta anche Gerenzone, che è il più settentrionale di quei tre grossi torrenti, di cui, nella stessa pagina dei Promessi Sposi, (ne aveva già parlato) avete letto che formarono coi loro depositi la costiera del lago.
« Eppure questa montagna, la quale, vista da Lecco, sembra affatto inaccessibile, non è tale però che non ci si possano fare delle gite piacevoli ed anche facili. Proprio sulla fronte, dove sopra la base così scoscesa della montagna comincia un pochin di pendio, una macchietta bianca attira a sè gli sguardi di ognuno che venga a Lecco per la via di Bergamo o di Milano. È la cappelletta di San Martino; e chi la vede per la prima volta, non la potendo credere un nido d'aquila o di falco, è forza che domandi a sè stesso chi mai abbia potuto, non dirò fabbricare delle mura, ma nemmeno portare il piede lassù. Eppure ci si va così bene! Dapprima per una valle, o piuttosto per una specie di crepaccio nascosto in seno alla montagna; poi per una serie di scogli, che formano come una specie di gradinata. Che vista stupenda si gode da quel breve pianerottolo sul quale è edificato l'umile tabernacolo! E di lì un sentiero assai comodo, benchè quasi volante su precipizi vertiginosi, attraversa tutta la montagna dalla parte del lago, finchè vi conduce in un seno, coperto di prati e di boschi, con in mezzo una chiesuola ed un fabbricato, il quale, benchè denominato comunemente convento di San Martino, non è e non dev'essere mai stato altro che una stalla. Oh com'è delizioso quel posto! Com'è dolce, in mezzi a quella specie di anfiteatro, che si direbbe il tempio dell'aridità, trovare una così bella verdura! è là sotto, un piccolo antro nella rupe, che accoglie un piccolo stagno, nutrito da una fonte fresca e perenne, che ha tutta l'aria di un perenne miracolo. E poi, e poi...
« Non la finirei più, quando parlo de' miei monti. Quanto al San Martino, so di un celebre paesista solito dire ch'è la montagna più bella del mondo. Ed è tale principalmente per il contrasto tra quel colosso di rupi ignude che si slancia così ardito nell'aria, e le sue falde, sparse dapprima di cespugli e di querce, poi di cipressi, di edere, di lauri, di ulivi, a boschetti, a macchie sempre verdi ; e più basso, di case e di paeselli, finchè tutto diviene un gran gruppo di abitati, quasi una sola città, che discende giù, come un fiume di case, fino a Lecco, fino alla riva del lago, in mezzo ai campi ed alle vigne, fra il rumore incessante di cento e cento officine, dove il ferro e la seta si lavorano con pari abbondanza, e quasi con pari finezza. Lasciatemi dire anche questa, e poi ho finito. Il Monte San Martino ha la singolare proprietà che il suo fianco, dove discende verso il lago, visto di sera, quando il buio ne confonde le disuguaglianze, disegna con rassomiglianza maravigliosa, il profilo di Napoleone dormente, assai più colossale del Colosso di Rodi. Non gli manca nè la fronte protuberante, nè il gran naso aquilino, nè il mento d'un ovale perfetto. Lo si vede benissimo disegnato, o dalla via di Bergamo presso Chiuso, a mezzodì, o dalle pendici sopra Menaggio a settentrione ».
Così nel e Bel Paese », che non tutti gl'Italiani conoscono, e che troppi italiani grandi dimenticano di aver letto da piccoli, Antonio Stoppani descrive la sua montagna con l'ardente affetto di chi v'è nato appresso, con la dottrina dello scienziato:, con la scioltezza e col colorito dell'uomo di lettere.
Il Resegone però ha una forma ancor più caratteristica del San Martino, con la sua cresta formata da undici scoscese punte dolomitiche rassomiglianti veramente ai denti d'una sega, che in dialetto lombardo si chiama resega, d'onde e el resegon », per indicare l'arnese ben noto nelle sue gigantesche proporzioni. Quel monte era popolare in Lombardia, e particolarmente a Milano, d'onde si scorgeva benissimo - quando non v'era nebbia - dai Bastioni di Porta Orientale, allor che essi dominavano tutta la campagna antistante, non occupata, come oggi, dai fabbricati cittadini, anche prima che il Manzoni vi richiamasse l'attenzione del pubblico con l'accenno fattone iniziando il suo romanzo. Da ogni parte poi del territorio che si stende fra Milano e Como l'occhio incontra sempre quel bruno a ceruleo schieramento dentario, a traverso il quale è bello dall'alta Brianza veder sorgere il sole che in estate va scorrendo tutte le dieci finestre, successivamente affacciandosi a ciascuna di esse. È noto, l'errore del Carducci che, per aggiungere forza alla pittorica descrizione del Parlamento milanese soddisfatto d'aver decisa la guerra contro il Barbarossa, termina le strofe con una pennellata magistrale, sebbene sbagliata
Il sole ridea calando dietro il Resegone.
Secondo il punto di vista dei Milanesi il Resegone si trova a settentrione, quindi impossibile che il sole calasse da quella parte; ma fu giustificato l'errore del poeta osservando che, veduto da un altro punto, può anche dare l'impressione di trovarsi. a occidente.
Pur questo monte, ormai classico, offre piacevoli ascensioni. La sua altezza massima è di m. 1875 e le sue pareti sono solcate da canali profondamente scavati entro i quali di solito si vede biancheggiare la neve, divisa in candidi ruscelli, anche dopo che le vette l'hanno scossa, Da Acquate si può salire in due ore alla Capanna Stoppani del Club Alpino Italiano (m. 820); poi per la Ca Dàina e a traverso la parte superiore della Val d'Erve, in cinque ore, si giunge alla vetta, dove da poco sorgono due rifugi privati. Dalla Capanna Stoppani si sale anche al dirupato Pizzo d'Erna (m. 1375).
Ma non sono le ascensioni al San Martino ed al Resegone quelle più ambite dagli alpinisti.


LE GRIGNE
L'escursione alpinistica più popolare in Lombardia è quella su le due Grigne, imponente massiccio dolomitico che sorge su la sponda orientale del lago di Lecco e domina l'intiera Valsassina, Anzi tutto enumeriamo le vie d'accesso alle due vette.
Alla Grigna Meridionale (m. 2184); sei vie Lecco-Ballabio Superiore-Capanna Escursionisti Milanesi-Albergo Carlo Porta - Lecco-Laorca SuperioreCapanna detta-detto albergo - Abbadia-Piano dei Re
sinelli-Capanna e albergo detti - Mandello, poi come il precedente - Mandello-Capanna Rosalba per la cresta Segantini (difficile) - Mandello-Capanna dettasentiero Cecilia (non facile).
Alla Grigna Settentrionale (m. 2410); quattro vie Ballabio- Balisio-Capanna Pialeral-Cresta Sud-Grigna Vetta - Mandello-Capanna Releccio-Canalino - Mandello-Capanna detta-Canalone (difficile) - Varenna-Esino-Capanna Monza-Grigna Vetta.
Ed ecco ora le impressioni sulle Grigne che un escursionista manifestava anni sono nel Bollettino Municipale di Milano (luglio 1919)
«La via più comune per salire alla Grigna meridionale o Grignetta è quella che, da Ballabio superiore, sale all'albergo rifugio Carlo Porta, via mulattiera abbastanza comoda tra boschine e strette lingue di prati. Appena si è in vista dell'albergo eretto alla base del massiccio della Grigna e si lascia alle spalle la vallata, si ha l'impressione del paesaggio d'alta montagna prati e pascoli, baite basse e larghe sullo sfondo, rupi scoscese enormi che si innalzano a picco, e il frequente mutar delle luci e dei colori dal roseo, all'indaco, al violetto, al turchino, al verde e al nero. Se l'atmosfera è variabile, il panorama cambia ogni pochi minuti. Nella cortina di nubi si aprono all'improvviso larghe finestre dalle quali si scorgono il lago, l'Adda, la pianura lombarda, il Resegone velato.
« Anche la Grigna, abitualmente corrucciata, .non si mostra troppo di frequente nella sua nudità. Par quasi che sulla vetta i nembi velino qualche strano rito, qualche grande amplesso di esseri sovrumani.
« L'enorme blocco montagnoso delimitato a semicerchio dalla Valsassina e sull'altro lato del lago di Lecco e chiuso in un anello di malachite e di lapislazzuli, sembra difendersi dall'assalto degli abitanti della metropoli così vicina con l'asperità dei suoi contrafforti e dei suoi costoni e, per irrisione ai loro sforzi, e alla loro curiosità, con la cortina dei suoi vapori.
« Chi voglia cimentarsi agli acrobatismi sulle pareti verticali in roccia ha a sua scelta i torrioni Magnaghi, l'ago Teresita, la punta Angelini, la cresta Segantini, i torrioni Cecilia, la guglia Cinquantenario, il Sigaro e può trovare ancora qualche punta che aspetta l'audace che la calchi per la prima volta e la battezzi.
« La salita dall'albergo Porta alla vetta per il sentiero Cermenati è una passeggiata ben nota ai gitanti che l'affrontano anche con scarpe da Galleria. La maggior fatica sta nel superare, in principio, il ripido dorso della montagna, ma lo spettacolo rende lo sforzo meno sensibile. Ai due lati sorgono gli scheggioni, le punte, gli aghi che sembrano il rifugio dei Giganti precipitati da Giove.
« Sotto, si stende sempre più vasto, il piano ; i laghi si scoprono, si allargano, si accendono al sole, diventano di smeraldo, di lapislazzuli, di opale. Di notte, il velo cupo che copre il lago è forato dai riflettori dei doganieri e, in fondo, la pianura è chiusa dalla via lattea formata dai lumi della metropoli. Poco lungi dalla- vetta, a sinistra, si stacca il sentiero che conduce alla capanna Rosalba per il sentiero Cecilia. Questo procede or dentro or fuori, tra gli scheggioni che formano la cresta Segantini la quale dà la sensazione della terribilità delle convulsioni della natura nelle epoche millenarie in cui si formarono i corrugamenti della crosta terrestre, aiutando il fuoco, i terremoti e, più lentamente, i nembi e le erosioni.
« Dalla capanna Rosalba si può tornare all'Albergo Porta per un sentiero lungo coste erbose, per boschi di un verde così smeraldino e trasparente sul fondo azzurro del cielo che
è dolce allora o sotto un'elce antiqua
o su folt'erba stendersi
mentre fra l'alte ripe l'acque scorrono,
gli augei ne' boschi lagnansi,
per le sgorganti linfe i fonti scrosciano,
leggeri sonni a porgere.
(ORAZIO, Ep. 11, 23-28).

« Anche il sentiero che conduce dal pianoro dell'Albergo Porta alla capanna Pialeral passa attraverso prati e boschi. Esso è segnato e non è consigliabile abbandonare il segno. 1 sentieri rappresentano l'esperienza millenaria dei popoli fanno coincidere il tempo con quel tanto di comodità che è possibile in montagna. Voler abbandonare il sentiero significa, spesso, perdere tempo.
« Nel tragitto, lungo i fianchi delle due Grigne, nella fresca oscurità meridiana dell'interno di una baita la polenta fumante raggia come una luna piena; più innanzi una polla d'acqua cristallina reca una gradita sorpresa per chi sa quanto povero d'acqua sia il massiccio delle Grigne.
« La capanna Pialeral sta a guardia della conca degli sciatori, tanto questa, nell'inverno, è frequentata dagli amatori di questo rapido mezzo di locomozione proprio delle grandi pianure di neve e di ghiaccio del nord.
«Sulla Grigna settetrionale, il Grignone, la solitudine e il silenzio sono assoluti. L'uomo non può intavolare un dialogo che con sè stesso, in cospetto alla natura.
« Di lassù, il sorgere del sole, in estate, nella Valsassina verde, non si dimentica mai più. Quando, superata la cortina di nubi, il disco appare nitido, ampio, fiammeggiante, a occidente, la catena del Rosa, come sospesa nello spazio per incantesimo, si colora della più dolce tinta. Il cielo presenta tutta la gamma dal grigio al verde, al celestino trasparente. Il lago, in fondo, è ancora plumbeo. I punti più prossimi diventano di oro verde. Di tra le cime più alte delle catene ad oriente i raggi arrivano tangenti, e, superando in alto le valli, vanno a rosare altre cime minori.
« Uno stormo di corvi si alza gracchiando dai cratere spento che sta sotto il rifugio. Dal fondo valle salgono i primi squilli delle campane e degli armenti : la vita degli uomini riprende il suo ritmo.
« Ora l'atmosfera nel semicerchio della Valsassina è tutto un pulviscolo verde. La Grignetta, ancora violastra, si sveglia a fatica, si stira, aspetta un raggio diretto per imbellettarsi di rosa e liberarsi dal brivido freddo del primo albore. Ma il sole ha vinto tutte le barriere che le nubi avevano frapposto al suo folgoreggiare. A mano a mano che esso sale nel cielo, i suoi raggi, percotendo direttamente la roccia, riattivano la fabbrica dei vapori: un fiocco di bambagia si stacca da una anfrattuosità, si innalza, si allarga, si unisce ad un altro ; insieme fanno catena ; la loro diafanità si ispessisce, si oscura ; la nube è formata e naviga nel cielo, verso il sole dove sembra nuovamente scemare, disfarsi, disperdersi nel nulla.
«Talvolta i fumi della montagna formano un velario opaco che ne avvolge e chiude tutt'attorno alla vista l'orizzonte, permettendo di immaginare, come oltre la siepe sull'ermo colle, l'infinito coi suoi spazi, i suoi orrori, i suoi terrori e i suoi sogni, che son poi quelli della nostra fantasia, del nostro spirito ».

Monografia redatta da Pio Pecchiai, con la collaborazione, per la parte manzoniana, di D. Giuseppe Polvara, del quale sono anche gran parte delle fotografie.

l'imbarcadero dei piroscafi a Lecco

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