Lecco - PERSONAGGI: PIETRO VASSENA
PIETRO VASSENA, LO SPORT DA INVENTARE
articolo di Aronne Anghileri pubblicato sul N. 3 - Luglio-Settembre 1997 della rivista "Archivi di Lecco", edita dalla Casa Editrice G. Stefanoni
Pietro Vassena al lavoro, nel suo cantiere all'aperto.

Ricorre quest'anno il cinquantesimo anniversario del batiscafo C3, inventato da Pietro Vassena. Si è parlato di nuovo di lui, a Malgrate sua terra natale, e qualcuno augura un monumento da dedicargli in Lecco, e un museo del lavoro in Brianza, una sezione di quel museo da anni augurato nel territorio e mai finora realizzato. Noi vogliamo ricordare questo singolare personaggio con la ripubblicazione di un articolo che, parzialmente mutilato per ragioni di spazio, venne pubblicato sulla "Gazzetta dello sport" venerdì 18 marzo 1988 per la penna di Aronne Anghileri. Grazie all'Autore, siamo in grado di ripubblicarlo per intero, cioè senza i tagli, secondo il testo originale che ci è stato gentilmente fornito, insieme ad una scheda delle invenzioni principali di Vassena, contemporaneamente segnalando che altre riviste ed altri giornali (fra i quali la stessa "Gazzetta", sempre per opera di Aronne Anghileri) si sono occupati dell'inventore lecchese.
Era il 1946. L'Italia e Pietro Vassena uscivano faticosamente dalle rovine della guerra. A Milano continuava ad esistere, residuato della Repubblica Sociale Italiana, detta "Repubblichina", la Sezione Costruzioni Navali del Ministero dell'Industria. Fu lì che nell'autunno si presentò Pietro Vassena, in cerca di aiuti concreti, soprattutto di finanziamenti, per realizzare il suo "C3". un sogno che si portava dentro da molto tempo. alla cui idea s'era applicato l'anno prima. quando l'avevano messo "in collegio", come diceva lui, dopo la Liberazione.
Lo accolse l'ing. Guglielmo Premuda, grande esperto di sommergibili, il quale fu un po' conquistato ed un po' incuriosito da quell'uomo che sprizzava simpatia ed umanità. così ottimista dopo aver subìto traversie varie, così sicuro di sè, tanto poeta. Vassena aveva quasi 50 anni, una moglie bionda e sorridente, che quanto a cordialità gareggiava con lui, tre figli maschi di 18, 16 e 13 anni: Gianfranco, Mario ed Angelo detto Angiolètto, con la "e" bene aperta. Alle spalle una vita movimentata, fatta di tante invenzioni grandi e piccole, per lo più serie ma a volte anche umoristiche, un ammucchiarsi di episodi e di aneddoti grazie ai quali a Lecco era divenuto un personaggio notissimo, a volte preso un po' sottogamba da concittadini particolarmente critici, ma in definitiva benvoluto da tutti
Ricordare tutte le sue creazioni è praticamente impossibile. Pietro era dotato di una inventiva straordinaria, aveva innate qualità per risolvere qualsiasi problema. era un geniaccio che sapeva modificare, migliorandole, macchine già esistenti. Durante la guerra aveva prodotto chissà quanti apparati a gassogeno (quelli alimentati a carbonella, che si mettevano in azione dopo aver fischiato a lungo), applicati alle auto ed ai camion. A Lecco montava i suoi mastodontici apparecchi in un'officina situata appena al di là dell'Adda, in comune di Malgrate, poi l'incremento del lavoro l'aveva costretto ad aprire una succursale (con 120 operai, incredibile) presso il garage della Società Autoservizi Lecchesi, le cui corriere, che univano la città alla Valsassina, a furia di requisizioni si erano ridotte a due sole. Ormai la ditta Vassena montava gassogeni in tutta l'Italia del nord, perfino dalla Germania gli mandava del lavoro l'Organizzazione Todt, ed in officina capitava di veder girare più divise tedesche di quanto fosse auspicabile. Questo ebbe effetti negativi per Pietro, che si fece una fama di collaborazionista.
Un altro si sarebbe arricchito, non lui che aveva la prerogativa di essere perennemente senza una lira, perchè alla dote positiva di rendere commercializzabile qualunque ferro sul quale mettesse le mani, univa quella negativa di non saperlo commerciare.
Tuttavia non è per i gassogeni che lo si ricordò in seguito. Fu soprattutto per i motori silenziosi che aveva ricavato con azzeccatissime ma essenziali modifiche dai tedeschi Puch (e che cedette poi alla Moto Rumi), o per i motorini fuoribordo ai quali aveva applicato una frizione ottenendo di farli girare "in folle" (e che finirono poi alla ditta Carniti di Oggiono). La sua notorietà a Lecco, più che altro sul piano del divertimento, gli era venuta dall'idea di realizzare un apparecchio che sviluppasse il seno delle donne (sua moglie Ottorina detta Rina, usata come cavia, vi rimase attaccata e soltanto all'Ospedale ne fu liberata) e da quella degli sci per passeggiare sull'acqua (una specie di lunghi scatoloni sui quali un paio di volonterosi avevano fatto un giro d'Europa nel 1932 e sui quali lui si esibiva sul lago davanti a Lecco, in giacca e cravatta, pur non sapendo nuotare). Durante la guerra aveva costruito anche dei macinini per ricavare dal mais farina per polenta: in tempi di tesseramento, digiuni e borsa nera, ognuno si arrangiava come poteva.
Era questo insomma l'uomo che nel 1945 riuscì ad interessare il progettista di sommergibili ingegner Premuda, il quale lo seguì nell'officina di via Cavour a Lecco, dove l'artigiano Vassena, con una ventina di operai, costruiva motorini fuoribordo. Era finita l'epoca dei motori alimentati a carbonella, la società delle corriere, potenziate le sue linee, si era ripreso il garage, e Vassena aveva piazzato la sua officina all'interno di un lungo cortile che dava sulla via principale della città, alle spalle della sede di allora del Credito Italiano.
Pietro mostrò a Premuda un modellino del "C3": era sistemato in una vasca, e lui vi immetteva acqua (per farlo immergere) o aria (per farlo risalire), usando una pompa da bicicletta ovviamente trasformata ed adattata da lui. L'entusiasmo di quell'uomo, la sua cieca fiducia in quanto stava facendo, le sue evidenti capacità intuitive e meccaniche, fecero presa su Premuda che gli diede tutto l'appoggio possibile, cioè un'assistenza tecnica che naturalmente fu molto preziosa. Non potè dargli dei soldi, ma gli mandò a Lecco, perchè si occupasse dei fuoribordo, suo figlio Tullio.
Pietro Vassena, in mezzo alle sue multiformi attività, aveva anche un passato di studi sui sommergibili. Lui stesso (al quale possiamo perdonare qualche piccola fantasia od esagerazione, perchè l'uomo lo meritava) ha raccontato che il "C3" rappresentava la sua terza realizzazione in quel campo, ma quella sigla nasceva dal fatto che in quei mesi di "collegio" durante i quali aveva studiato il piccolo battello, era alloggiato nella cella n° 3.
In realtà la sua partecipazione a vicende di sommergibili era stata leggermente più limitata: dapprima a La Spezia aveva collaborato con la Marina a ricerche sui mezzi d'assalto, poi aveva realizzato un prototipo che era stato sperimentato durante il periodo della Repubblichina mussoliniana, e forse era stato per questo che a guerra finita lo avevano messo "in collegio".
A Lecco c'è ancora chi si ricorda di certi esperimenti dell'inverno 1944-45 nella darsena della Canottieri. Poteva capitare che un socio entrasse nella sede, e si trovasse la strada sbarrata da un milite in camicia nera e mitra imbracciato: "Alt, non si passa". Ad un tentativo di visitare la sede sociale verso la terrazza a lago, un altro milite: "Non si passa". Poi ecco sbucar fuori, tutto ridente, contento di sè, il Pietro Vassena, che spiegava di aver realizzato il piccolo sommergibile che in quel momento si stava provando dentro la darsena, un'imbarcazione destinata a portare mine magnetiche da attaccare sotto la chiglia delle navi nemiche. "Venga -diceva Vassena, - venga che le mostro i disegni". Alla faccia di tutti i militi e di tutti i mitra, naturalmente.
E' questo sommergibile che è stato descritto dal decano dei giornalisti italiani, il novantottenne Arnaldo Ruggiero (che ha commesso l'imprudenza di raccogliere questo scritto anche in un volume), come "mezzo d'assalto con siluro", capace di navigare a 90 km. orari in superficie ed a 60 orari in immersione. Cose da fantascienza, chiaramente. L'esperimento di quel sommergibile (che era stato costruito nello stabilimento Badoni di Lecco) tuttavia non ebbe seguito, forse anche perchè la guerra si concluse prima di portare le prove a compimento.
Questo sogno a lungo coltivato, Vassena l'aveva portato avanti attraverso studi e disegni nei circa tre mesi che aveva passato rinchiuso nelle scuole di via Ghislanzoni, trasformate in prigione nel 1945, immediatamente dopo la Liberazione. Gli era andata bene: un anno prima, qualcuno gli aveva fatto arrivare a casa una lista di nomi di persone da eliminare, ed il primo nome era il suo... Possiamo immaginare l'angoscia della moglie, che sapeva di avere in casa un uomo profondamente buono, forse ingenuo, certamente incapace di farsi dei nemici, ma non abbastanza furbo per defilarsi in momenti così movimentati e pericolosi.
Tornato in libertà, si occupava contemporaneamente dei motori fuoribordo e del suo sogno, il sommergibile che ora, a guerra finita, non doveva servire più a scopi bellici, ma a recuperi e ad esplorazioni sottomarine. Questa volta lo scafo fu costruito da un'altra industria lecchese, la Forni e Impianti Industriali, con Vassena ed i suoi che affrontavano e risolvevano problemi quotidianamente. Indicativa, ad esempio, l'invenzione del "bareno" (una grande alesatrice rotante, con la quale rifinì il foro in cui si inseriva la pinza di prua del "C.3"), realizzata da Vassena senza sapere che altri l'avevano fatto prima di lui per usarla abitualmente nei cantieri navali.
Lavorare al suo fianco doveva essere eccitante, ma a volte anche scoraggiante. Nino Turati, che poi scese con lui nelle profondità del Lario, sosteneva che era difficile trovare un'altra persona che gli assomigliasse: non ascoltava mai fino in fondo i discorsi altrui, non ammetteva di poter avere idee non esatte, poteva piantare in asso chiunque se gli veniva in mente una cosa che in quel momento aveva per lui maggiore interesse. Accadeva che si dimenticasse di appuntamenti importanti, se veniva distratto da piccole osservazioni, soprattutto di carattere meccanico, che attirassero la sua attenzione. Lui faceva sempre seguire l'azione al pensiero, era sempre in moto, non riusciva a stare a tavola nemmeno il tempo necessario per mangiare, durante il pasto giocherellava con le posate o con la mollica, poi si alzava di scatto, andava al bar accanto alla sua officina, e sorbiva il caffè girando da un avventore all'altro con la tazzina in mano, ad ognuno raccontando qualcosa.
La sua officina, che è stata descritta come una specie di antro di Vulcano, ospitava il montaggio di motori, le prove di fuoribordo immersi in tinozze piene d'acqua, banchi sui quali giravano motori di motocicli, carrozzerie di macchine da perfezionare e vecchie auto sezionate. E lui in mezzo, con il dono dell'ubiquità, saltellante in ogni angolo, con gli occhi aperti su tutto quanto. In un angolo c'era anche l'alloggio di Tullio Premuda, che spesso divideva la camera con Mario Vassena, il figlio secondogenito. Lui, generalmente gioviale ed allegro, incapace di dire no ad alcuno, era sempre alle prese con problemi di denaro. I suoi fuoribordo, marca Elios, venivano immessi in commercio attraverso le organizzazioni di Silvani e Casorati, e poteva accadere che quest'ultimo arrivasse all'officina con una valigia piena di banconote, ed allora Pietro, come affascinato, le stendeva tutte sulla scrivania, e diceva a sua moglie o alla nipote, anche lei di nome Rina, preziosa collaboratrice, che si andassero a comprare quanto desideravano. Era la stessa signora Vassena a mettere un freno a queste grandezze, mettendo al sicuro il denaro che era destinato ad altro. Povera signora Rina: le capitò di confessare che suo marito dormiva con un taccuino penzolante sopra il letto, assicurato ad uno spago, e che quando a volte si svegliava in piena notte, lei invano sperava che fosse per dimostrarle il suo affetto: era soltanto per prendere nota di un'idea che gli era venuta nel dormiveglia.
E' in questa atmosfera cvhe nacque il "C3". Nell'autunno del 1947 si cominciò a leggerne sui giornali, e se ne accorse anche Nino Turati, ex sommergibilista di 30 anni che abitava a Calolziocorte, a pochi chilometri da Lecco. Se Vassena voleva scendere con quel sommergibile, la compagnia di un esperto poteva essergli utile: Turati offrì la sua, con una lettera. Che tempi! in soli quattro giorni aveva in mano la lettera di risposta. Vassena accettava. Nacque così una proficua collaborazione che durò fino al successo delle immersioni più profonde del "C3". Turati sollevò - per iscritto - Vassena da ogni responsabilità, e divenne il secondo membro dell'equipaggio. Cominciarono col chiudersi nello scafo per alcune ore, giocando a carte e leggendo, per controllare la possibilità di respirare a lungo.
Lecco, 1° maggio 1952, il Prof. A. Piccard a colloquio col vice-sindaco, Prof. Luigi Colombo e Pietro Vassena.
Il batiscafo C3 Vassena, realizzato al fine di allacciamento delle sfere per il sollevamento dei Transatlantici.
Era ormai l'ora del varo. La curiosità era vivissima non soltanto in Italia, ma anche all'estero. Lo scienziato Augusto Piccard, l'uomo della stratosfera e delle profondità marine, scrisse dalla Svizzera proponendo a Vassena un incontro. Il 19 febbraio 1948 il "C3", caricato su un rimorchio naturalmente costruito da Vassena, esce dal cortile di via Cavour e viene avviato verso il lago: "trainato da un camion", - riferisce Turati; "agganciato dietro al tram che passa lì davanti", - sostiene invece un giornale, forse con un po' di fantasia. Lo squalo argenteo viene messo in acqua, cominciano i collaudi davanti alla sede della Canottieri, la città è tutta in fermento, le rive sono spesso affollate di curiosi, di tifosi, di scettici.
Con opportuna scelta teatrale, Vassena effettua quattro immersioni domenica 6 marzo, quando le sponde del lago nereggiano di gente. Scendono con lui Turati, il figlio Angioletto che è chiaramente il suo cocco (forse perchè gli assomiglia di più, e sarà in seguito pilota di moto-
nautica, oggi è presidente della federazione), il giornalista Gian Piero Gerosa ("mai avuta tanta paura in vita mia, secondo me lui sapeva come scendere, ma per risalire improvvisava ogni volta"), una signorina non meglio identificata (in realtà la barista del Caffè Teatro, che aveva impulsivamente dichiarato di non aver paura).
Il "C3" ha toccato 55 metri di profondità. Vassena ormai si sente sicuro. Due giorni dopo è già ad Argegno, sul ramo comasco del Lario, dove il fondo è "meno 400", e spedisce il sommergibile (vuoto) fino a 235 metri. Il 10 marzo l'esperimento decisivo: il "C3" viene mandato giù finché non tocca il fondo. E' imbragato con cavi agganciati ad una potente gru installata su un "comballo", caratteristico barcone del Lario. Un filo telefonico tiene i contatti con la superficie: laggiù, accanto al microfono, una sveglia da cucina sistemata in una pentola fa risuonare il suo "tic-tac", è la spia che denuncia se tutto va bene. Il "C3" scende fino a 405 metri; quando risale, Vassena e Turati si precipitano ad aprire il portello, entrano: "L'è succ!", è asciutto, proclama in dialetto il suo creatore. Ha vinto.
Il 12 marzo, sabato, la discesa nell'abisso è autentica, con gli uomini dentro. I particolari emergono dal "giornale di bordo", per Vassena è il trionfo, il record mondiale di 412 metri raggiunto con un apparecchio semovente (cioè non con una batisfera), ad una profondità quasi quadrupla di quella cui arrivavano i sottomarini bellici dell'epoca. Le sue foto sono trasmesse in tutto il mondo, la sua popolarità ingigantisce. Tre giorni dopo arriva, via lago, a Lecco, per il trionfo. Sul motoscafo Virginia, che gli va incontro, non vengono caricati per errore il Procuratore della Repubblica e le autorità militari. Lo portano a spalle per le vie cittadine fino al municipio, il cui portone è stranamente sbarrato.
Pochi giorni dopo, a Sierre, da Piccard, poi sarà lo scienziato a venire a Lecco, e Vassena gli farà l'omaggio di un paio di scarpe commissionate all'abile artigiano Schellino. Il 3 aprile racconta il suo successo, un po' in lingua, un po' scivolando nel dialetto, al Centro di Cultura di Lecco, poi espone il "C3" al Palazzo Reale, a Milano. In luglio lo porta per immersioni nel Golfo del Tigullio, infine a Napoli, per cercare nei pressi di Capri fondali più profondi di quelli del lago. Non ha più un soldo, soltanto debiti. Premuda da Lecco gli telefona che non sa come pagare gli operai, lui mette su un baraccone e mostra il "C3" a pagamento, 100 lire. Stampa anche delle tessere, valide per una discesa nel sommergibile.
Purtroppo la fortuna non è più con lui. Alle 8,45 dell'otto ottobre, mentre viene rimorchiato a torretta aperta, il "C3" imbarca acqua e affonda. Vassena vorrebbe buttarsi in mare, e non sa nuotare, ma viene trattenuto. Gli va bene, per questa volta: quattro giorni più tardi i mezzi della Marina riescono ad imbragare lo scafo, che viene riportato alla superficie. Sarà soltanto un rinvio: il secondo, definitivo affondamento avviene il 20 novembre, a causa di un errore di manovra, un cavo surriscaldato, il cedimento della gru di sostegno. Il "C3" giace da allora alla profondità di 600 metri, non lontano da Capri.
Otto anni dopo l'avventura del "C3", Vassena, che si trova in "estenuate condizioni finanziarie", subirà un pignoramento per un risarcimento che la Marina pretende da lui, e invano pone le sue speranze nel "Grillo", un veicolo che dovrebbe volare, correre sulla terra e sull'acqua, ma che non sarà mai realizzato. Se la cava grazie ad un distributore di benzina che, per i suoi meriti degli anni di fulgore, l'Agip gli ha dato in concessione a Malgrate, il paese nel quale era nato il 21 aprile 1897, e dove è scomparso il 21 maggio 1967.

LA VITA OPEROSA DI PIETRO VASSENA
Il y a quelques semaines, un ingénieur italien faisait parler de lui.
A bord d'un sous-marin de poche de son invention, - le C 3 -, il effectua
plusieurs plongées dans le lac de Come et atteignit, à la dernière
immersion, la profondeur respectable de 412 mètres. Il n'en fallut pas
plus pour attirer l'attention du monde scientifique sur Pietro Vassena;
certains journaux allèrent mème jusqu'à tracer un parallèle entre le génie
inventif de l'Italien et ce1ui du professeur Piccard, dont le Bathyscaphe
doit aller explorer, en septembre de cette année, les profondeurs
abyssales au Large du Golfe de Guinée. Cependant, Pietro Vassena se défend
d'etre un savant; du moins dans le domaine scientifique. Il a, on doit le
savoir, à peine terminé ses études primaires. Cela ne l'empèche pas d'ètre
un réalisateur né, car les idées qu'il conçoit sont plus qu'ébauchées,
puisqu'il les matérialise avec les éléments dont il dispose.
Per iniziativa dei suoi figli, a Malgrate, il 19 aprile scorso, nella Chiesa di San Leonardo, al cimitero ove è sepolto e nella sala consiliare del Comune, a Palazzo Agudio, Pietro Vassena è stato ricordato in vista del centenario della sua nascita, avvenuta appunto in Malgrate il 21 aprile 1897.
Aronne Anghileri, che gli aveva dedicato un articolo sul principale giornale sportivo nazionale il 18 marzo 1988, e che è ritornato sull'argomento nei giorni successivi, ha improvvisato un commosso ricordo dell'inventore lecchese, che egli aveva conosciuto quando, ancora ragazzo, era stato compagno di giochi, "al Porto", dei figli di Vassena, loro coetaneo, pieno di ammirazione per quest'uomo semplice che sapeva trarre idee da qualunque spunto (" alla dote positiva di poter rendere commerciabile qualunque ferro sul quale mettesse le mani, corrispondeva l'assoluta incapacità di ricavarne degli utili in prima persona", ha scritto l'illustre giornalista citato su "La Gazzetta dello sport"), e che sapeva trasmettere a tutti, collaboratori ed amici, una fede assoluta nel progresso e una fiducia non meno assoluta nell'invenzione di cui in quel momento si stava occupando.
È così che Vassena si è conquistata la fama in patria per gli sci d'acqua, coi quali galleggiava sul lago, per un apparecchio col quale pretendeva di sviluppare il seno delle signore meccanicamente, per i motori a gassogeno coi quali aveva consentito la circolazione a mezzi di trasporto di tutti i generi in tempo di guerra, quando la benzina era scarsa o addirittura introvabile (e fu l'unico momento - ma lo avrebbe pagato ben caro - in cui sfiorò la ricchezza), e infine, valicando solo allora la sua fama i confini e le mura della piccola patria lecchese, con l'invenzione di un batiscafo col quale raggiunse i 412 metri di profondità, invano contraddetto da tutti gli scienziati del tempo.
Purtroppo quest'ultima sua invenzione, che egli aveva chiamato C3 in memoria del carcere nel quale, a guerra finita, era stato rinchiuso sotto l'accusa di collaborazionismo col tedesco invasore (mentre egli credeva soltanto al progresso con una fiducia tratta forse da qualche lettura tardo-positivista del suo tempo), pur recando la sua fama nel mondo, gli costò molo cara, poiché il batiscafo affondò ben due volte e l'ultima inesorabilmente; si disse perfino che il duplice affondamento fosse dovuto alla gelosia della marina americana o comunque ad un sabotaggio interessato, da parte di una potenza straniera. Così dopo qualche tempo, avendo ricorso invano contro la Marina Militare alla cui distrazione s'era dovuto il naufragio, dovette rivolgersi al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi (Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi gli avevano fatto incaute promesse, poi non mantenute), nella speranza di ottenere finalmente giustizia, e cioè almeno la rifusione del denaro che aveva speso iniziando fin dal 1944 i suoi esperimenti. Otterrà invece soltanto un distributore di benzina a Malgrate, il paese dov'era nato, mentre si spegnerà a Lecco, a 70 anni soltanto, il 21 maggio 1967.
Un recente Dizionario storico illustrato della provincia di Lecco lo ha ricordato soltanto per il batiscafo col quale superò e cancellò la memoria di William Beebe con la sua batisfera. In realtà la vita intera di Pietro Vassena non fu se non una continua ricerca, tanto che è sempre Aronne Anghileri a confidarci che "la moglie Rina una volta confessò che suo marito dormiva con un taccuino penzolante sopra il letto, assicurato ad uno spago, e che quando a volte si svegliava in piena notte, lei invano sperava che fosse per dimostrarle il suo affetto: era soltanto per prendere nota di un'idea".
Per stare soltanto alle invenzioni "ultime", se si sfoglia la stampa locale si trova, nel maggio 1939, la notizia di una grande, promettente illusione, brevettata col nome di "autarqas" (siamo in pieno periodo autarchico, aeroplani e biciclette si stanno costruendo in duralluminio). Il nuovo apparecchio di Pietro Vassena è applicabile a qualsiasi tipo di motore a scoppio in luogo del tubo di scappamento. Chiudendo il rubinetto della benzina, s'apre l'apparecchio gasificatore e questo fa funzionare il motore. Una prova eseguita con un'automobile Isotta Fraschini con motore da 85 cavalli ha richiesto un consumo di benzina pari ad una spesa di L. 150 (mentre sarebbe altrimenti costato non meno di L. 1000).
L'invenzione gli ha meritato la proposta di un premio di L. 25.000 per l'autarchia motoristica, ma i giornali non dicono che il premio non è mai arrivato ....
Dopo la vicenda dei motori a gassogeno, che fu l'unica davvero fortunata nella carriera di Pietro Vassena (i motori venivano montati nel deposito della SAL, durante la guerra, perché tutti gli autobus erano stati requisiti ad eccezione di due, per la Valsassina: e nel territorio non c'era automobile ormai che non funzionasse con l'invenzione del malgratese i cui dipendenti erano aumentati a 120), l'immediato dopoguerra fu dominato dalla questione pure accennata del batiscafo C3. Esso vien presentato e descritto nel novembre 1947, a forma di siluro, con propulsione mediante due motori marini indipendenti, uno a benzina, l'altro elettrico, con autonomia di 35 ore d'immersione e possibilità dichiarata di scendere fino a 600 metri.
Ne parlano i giornali italiani, quelli europei, perfino quelli messicani. Il notissimo prof. Augusto Piccard invita Vassena a Sierre, in Svizzera, ma l'incontro è frattanto rinviato, e il professore assicura che verrà lui personalmente a Lecco, per conoscere il nostro inventore.
Il quale, intanto, nel gennaio del 1948 si fa chiudere nella batisfera e s'immerge con un amico, nel lago di Olginate; la prima domenica di marzo ad Argegno, utilizzando 425 metri di cavo, scende fino a 415 (ma correggerà poi in 412) metri. Il 3 aprile 1948, dopo gli interventi su altri argomenti di Ugo Bartesaghi, Luigi Colombo e Arnaldo Ruggiero, Vassena rivive le fasi della sua immersione di Argegno al Centro di Cultura (presieduto da don Giovanni Ticozzi). "sbrogliandosi spesso con saporite frasi dialettali e battute umoristiche".
Va poi a Sierre, a visitare Piccard. Questi ricambia la visita il 10 maggio del 1948 e, in assenza del sindaco Bartesaghi, viene ricevuto dal vice-sindaco prof. Luigi Colombo oltre che, naturalmente, dall'inventore. Piccard riconoscerà più tardi che le esperienze del lecchese Vassena gli sono state utili.
Esposto a Palazzo Reale, a Milano, il C3 arriva a Napoli dopo una breve sosta intermedia a Santa Margherita. Se ne occupa, entusiasta, il prof. Parenzan, della Università partenopea.
Ma venerdì 8 ottobre 1948 il batiscafo affonda al largo di Napoli, e vien riportato a galla di lì a qualche giorno, da 125 metri di profondità. Il 16 novembre successivo, alle ore 7,20, dopo 280 immersioni, il batiscafo si inabissa al largo di Capri per una falsa manovra degli addetti al verricello del "Tenace", un mezzo veloce della Marina militare.
Vassena, che aveva lavorato per cinque anni alla sua invenzione, ha perduto tutto.
Quest'uomo generoso, che mentre si trovava a Napoli era stato avvertito che a Lecco mancavano i fondi per pagare gli operai e aveva quindi messo in piedi un baraccone, per mostrare il C3 a pagamento e raccogliere quindi i denari necessari alle paghe, fu costretto quindi a ricorrere al Tribunale Civile di Roma per convocarVi il Ministero della Marina, essendo risultate vane e senza seguito le autorevoli promesse che aveva ricevuto.
Chiedeva il rimborso di quanto aveva materialmente speso per progettare e costruire il C3 e per quanto
gli erano costate le immersioni, e cioè 17 milioni. Il Tribunale dichiarò invece la propria incompetenza, condannato Pietro Vassena al rimborso delle spese e al pagamento dei diritti per la bellezza di L.150.000.
Per questo l'inventore, titolare di ben 25 brevetti, fu poi costretto a scrivere una istanza al presidente della
Repubblica Giovanni Gronchi, accompagnata da una lettera del prof. Luigi Colombo, che frattanto era diventato sindaco della città di Lecco.
Ma non aveva smesso le sue abitudini, e neppure le sue prove di generosità. Così come in tempo di guerra,
senza chiedersi da che parte si fosse trovato, era accorso durante il coprifuoco a prestar soccorso ad un
giovanissimo ferito in combattimento e lasciato morente per la strada; così come aveva fatto figurare tra i suoi
dipendenti nella sua officina, per sottrarlo agli obblighi di leva nella cosidetta Repubblica di Salò, il giovanissimo Luciano Corbetta arruolato tra i partigiani (quel Corbetta che nei giorni della Liberazione si vedrà cadere accanto Alberto Picco), eccolo ora prestare ascolto al richiamo della famiglia Andemars, che chiede di poter ripescare dal fondo del lago di Lugano la salma di una signora annegata a causa del capovolgimento di un motoscafo, un corpo che giace a 260 metri di profondità.
E nel 1951 non aveva forse messo a disposizione, col figlio, un gommone per soccorrere gli alluvionati, insieme ai pescatori di Pescarenico, ai volontari della Croce Rossa e al sindaco Bartesaghi, nella gloriosa spedizione lecchese in Polesine?
Ma le invenzioni non sono finite: nel 1955 brevetta il velodromo meccanico che consta di due mezze biciclette, per cui azionando i pedali due concorrenti possono gareggiare sui 1000 metri e nell'inseguimento. Nel gennaio 1957 la stampa dà notizia del collaudo di una nuova apparecchiatura che serve alla polverizzazione della creta e di altri refrattari, un collaudo a rischio per il Vassena che riporta fratture al viso e trauma cranico a causa di una svista nello smontare un coperchio quando la pressione dell'apparecchio ancora non è scesa a zero.
Pietro Vassena muore a settant'anni, nel 1967, e sembra del tutto dimenticato. Un monumento tombale a Malgrate, un ricordo scultoreo ad Argegno, due importanti articoli di Aronne Anghileri sulla "Gazzetta" ed ora, forse, un altro monumento in un giardino da definire a Lecco, quasi a controbilanciare la via che Malgrate gli ha dedicata.
Ora qui non si vogliono aprire discussioni sterili o prendere sterili posizioni: ma par ritornata la vicenda di quando, all'indomani della prima guerra mondiale, Lecco si divideva tra coloro che allo Stoppani volevano dedicare un monumento - come poi si fece - e quanti, Ettore Bartolozzi in testa, gli volevano dedicare un museo.
I figli di Pietro Vassena conservano disegni, prototipi, modelli, e ne hanno dato prova scoprendo a Malgrate, il 19 aprile mattino, quello entusiasmante del C3: nella patria lariana delle motociclette, Vassena ha predisposto migliorie per moto di altre case, avendogliele probabilmente rifiutate la Guzzi. Non sarebbe più utile, più interessante, più remunerativo anche, assicurarsi quel patrimonio di invenzioni , di pensiero, di intuizioni per onorare - studiandone l'opera, o quanto meno prendendone atto - un inventore che ha onorato la nostra terra?
Passare davanti alla targa di una strada, intitolata ad un personaggio, induce solo qualche volta a chiedersi:
"Chi sarà?" Così ci pare che si possa dire anche di un monumento, ormai, e sarebbe davvero da chiedere quanti sanno dov'è a Lecco il monumento allo stesso Stoppani che abbiamo citato, o a Cermenati, o a Ghislanzoni.
Ma raccogliere in un capannone industriale lecchese - e ce ne dovrebbe essere più di uno completamente libero, quasi a costituire il primo nucleo del museo del lavoro progettato da anni e mai finora realizzato - quanto ci resta delle invenzioni di Vassena, dagli sci d'acqua ai motori a gassogeno, dal C3 alle apparecchiature per la polverizzazione, sarebbe il modo certo più serio e concreto di onorare la memoria del geniale e sfortunato inventore il cui batiscafo ha costituito, accanto al romanzo manzoniano e a poche altre cose importanti, un motivo di conoscenza di Lecco e del suo
lago nel mondo.
Il 3 aprile Vassena parla della sua invenzione nel corso del "Giornale
parlato" al Centro di Cultura, dopo Ugo Bartesaghi, Luigi Colombo e
Arnaldo Ruggiero: ha rivissuto le fasi delle sue immersioni,
"sbrogliandosi spesso con saporite frasi dialettali e battute
umoristiche". La visita dello scienziato è stata rinviata a
seguito di una sua indisposizione. Vassena lo visita a Sierre nel corso
dello stesso aprile, Picard ricambierà il 1° maggio
1952, venendo a Lecco ricevuto dal vice-sindaco prof. Luigi Colombo, il
sindaco Bartesaghi essendo assente.
Il 16 novembre 1948, alle ore 7,20, il "C3", che il 13 marzo precedente
aveva raggiunto il record mondiale di profondità toccando i
412 metri nel Lario, e che aveva effettuato 280 immersioni, si inabissa
per un errore di manovra da parte dell'equipaggio del "Tenace" della
Marina Militare italiana. Vassena convoca davanti al Tribunale civile
di Roma il Ministero della Marina, essendo risultate vane e senza
seguito le pur autorevoli promesse di rimborso fattegli dal presidente
della Repubblica Luigi Einaudi e dal presidente del consiglio Alcide De
Gasperi. La sua richiesta si limita a 17 milioni, quanto gli era
materialmente costato il
batiscafo, ma il Tribunale di Roma riconosce la propria incompetenza e
condanna Pietro Vassena al rimborso delle spese e al pagamento dei
diritti per L. 150.000. Nel novembre 1956 l'ufficiale giudiziario gli
pignorerà macchinari in officina e mobili nell'abitazione.
L'inventore si rivolgerà a quel punto al presidente della
Repubblica Giovanni Gronchi, appoggiato con fervore del sindaco di
Lecco che in quel momento è il prof. Luigi Colombo.
Per conto della Liquigas realizza un sistema, tramite bilancia, che
avvisa la massaia quando la bombola del gas è in riserva.
Realizza anche un apparecchio per la lubrificazione, in automatico,
delle canne di cannone. Costruisce un impianto per lo stampaggio ad
iniezione di vasi in terracotta. Studia una soluzione per taglio di
metalli con filo di acciaio elicoidale, in sostituzione dei seghetti.
Realizza quindi un brevetto, ceduto alla MV Agusta, di candela per
motore a scoppio con monoelettrodo centrale regolabile.
Contemporaneamente realizza con l'applicazione di un motore fiat 500 il
primo motore fuoribordo a 4 tempi con motore d'auto. Gambale e piede di
propulsione sono realizzati in alluminio e collaudati in diversi raid
tra Pavia e Venezia.
Un articolo del 1948 su Pietro Vassena di un settimanale di Bruxelles, "Le Patriote Illustré"
Une visite à Pietro Vassena - l'inventeur du sous-marin de poche
Pietro
Vassena est agé de cinquante ans. Il est né à Lecco, une ville de la
Lombardie, située à la pointe sud-est du lac de Come. Très jeune, Vassena
s'est révélé homme d''action; à 18 ans, il était nommé sous-directeur
d'une usine de ver à soie de Lecco; c'était un établissement important
occupant 2.000 ouvriers. Sa première réalisation scientifique date de
1915: il construisit, à titre d'expérience, sans l'aide de dessins ni de
calculs, un petit moteur pour bicyclette. Petit à petit, la renommée de
l'inventeur s'accrut dans la péninsule et, en 1940, l'Institut
Polytechnique de Milan lui décerna le titre d'ingénieur "ad honorem".
Pendant la dernière guerre, Pietro Vassena avait pour tàche, parmi ses
autres activités, de placer le gazogène sur les automobiles allemandes. En
récompense, les Allemands lui accordèrent le droit d'u tiliser une
automobile à essence. Avec son franc parler et ses gestes un peu rudes,
Pietro Vassena n'en est pas moins un homme d'affaire qui ne s'impose
vraiment que dans ses ateliers. Des magnats, des entreprises
industrielles, des trusts étrangers lui ont fait des offres importantes
pour s'octroyer le brevet de sa dernière invention, dont la renommée
dépasse largement les frontières de la péninsule. Mais, pour l'instant, il
semble que l'exploitation de l'idée reste en mains italiennes.
Toute
invention a son histoire, et celle du "C3" eut un début original. Les
plans du sous-marin de poche furent ébauchés dans une prison où Vassena
dut passer trois mois de sa vie, en 1945, dans une cellule portant le
numéro 3. Cet engin représente donc le rève matérialisé d'un prisonnier.
Mais avant qu'il n'allat en prison, Pietro Vassena voyait poindre la
célébrité du fait que, en 1945, lors de l'arrivée des armées anglaises à
Lecco, il se trouvait sous l'eau, dans un autre sous-marin de son
invention. Etant revenu à la surface, il fut arrèté et l'on confisqua son
sous-marin. On l'accusa d'avoir fabriqué des armes secrètes - on parla
mème de V 5 - et, pour tous ces racontars, Vassena se vit infliger trois
mois de privation de liberté.
Le sous-marin de poche, dont les
caractéristiques sont reprises en légende, intéressa le professeur Piccard
au cours d'une visite qu'il fit à son inventeur. Il est probable que la
rencontre des deux hommes fut assez savoureuse: d'une part, un savant,
rompu aux difficultés de la terminologie des mots scientifiques et
techniques; de l'autre, un homme sans grande culture, habitué à construire
des engins compliqués à l'aide de sa propre vision des choses, fermant
tantòt un oeil, tantòt l'autre, mesurant les distances à l'aide de son
pouce et déclarant que: "cela m'a l'air de bien marcher comme cela", d'instinct.
LE SOUS-MARIN DE VASSENA est, comme son inventeur, modeste mais ingénieux. Il mesure 7 m. 50 et son diamètre est de l m. 50. A pleine charge, il peut déplacer sept tonnes. Cet engin qui rassemble à un gros cylindre d'oxygène, a trois phares à l'avant et deux à l'arrière; ces phares sont mobiles et peuvent sonder les profondeurs marines dans un rayon de 35 mètres. Le sous-marin est muni de deux moteurs: un à essence pour la marche en surface; l'autre, électrique, pour l'immersion. La tourelle de l'engin est garnie de quatre hublots à travers lesquels les deux hommes de l'équipage peuvent examiner la vie sous-marine. L'invention de Vassena pourra servir non seulement aux opérations de sauvetage, mais aussi, étant donné sa rapidité de marche sous l'eau - 30 KmH -, aux constatations scientifiques; ceci grace aux capacités de longue immersion et a l'aisance de manoeuvre de l'engin.
PENDANT DES MOIS, le travail de mise au point de l'engin a été fiévreusemnt poursuivi. Sur la photo ci-dessous, on assiste à l'ultime verification, avant que d'enduire le « C3 » d'une couche de vérnis. Un as italien de la derniere guerre, le commandant Enzo Grossi, un familier de la guerre sous-marine, a proposé à l'inventeur de l'accompagner dans une plongée pouvant atteindre 1.500 metres. Pietro Vassena a réservé sa réponse.
L'lNTERIEUR DE L'ENGIN DE VASSENA, illuminé par des lampes de mineur, parait etre le ventre d'une immense chenille. Des cercles de fer, peint en rouge, en marquent les articulatlions. Le moteur se trouve au fond et, le long des parois, serpentent les tuyaux d'évacuation des gaz. L'inventeur vérifie, une dernière fois, ici, le moteur de son engin.
VASSENA, dans la tourelle de son sous-marin.
VASSENA montrant la grosse tenaille de son invention, adaptée au sous-marin de poche. Cette tenaille, reliée par des cables à des embarcations croisant à la surface, pourrait tirer des épaves de guerre du fond. La tenaille se termine en dessous par deux bras qui se manoeuvrent aisément de l'entérieur de la coque. Cela permettrait de trainer sur le fond marin, aprés les avoir solidement attachés, les objets s'y trouvant. L'inventeur espère démontrer cette posibilité sur le lac de Garde, au fond duquel gisent de nombreuses épaves.
QUATRE TETES apparaissent sous l'orifice de la tourelle: celles de l'inventeur et de trois de ses aides. Cette photo fut réalisée dans les ateliers de VASSENA.
L'INVENTEUR ITALlEN en conversation avec le professeur Piccard, peu après que le sous-marin de poche fut descendu à une profondeur de 412 metres, dans le lac de Come.
Articolo di Franco Ghilardi pubblicato su "Lecco Economia" della Banca Popolare di Lecco nel Giugno 1997
PIETRO VASSENA GENIALE INVENTORE LECCHESE
Bibliografia
Questa bibliografia non ha la pretesa di completezza e vuol soltanto costituire un primo, sommario contributo ai fini di una più ampia documentazione.
Vassena con il Presidente della Repubblica L. Einaudi.
Gli sci d'acqua inventati da Vassena per passeggiare sul lago.
Il batiscafo C3 di vassena in una immersione nelle acqua del lago di Lecco.
Vassena con lo scienziato Piccard e il Prof. Colombo.
Moto K2 senza catena di trasmissione.
Trattore con motore a gassogeno.