LECCO E VALSASSINA
STORIA DEL GORGONZOLA
da: Piccolo Mondo Antico Lecchese Vol. III di Arnaldo Ruggiero
(edizione Arti Grafiche Lecchesi - 1978)

Uno dei formaggi onde la Valsassina andò famosa in tutta Europa, ed anche «over seas», oltre gli oceani, è stato il Gorgonzola, del quale è tipico l'aspetto, una volta che sia tagliato e stimolante tanto da far venire l'acquolina in bocca al solo sentirne il profumo. Le forme erano preparate dai «produttori» nella caratteristica sagoma di un cilindro, del diametro di centimetri 28 e dell'altezza di circa cent. 14 del peso di 10 chili circa. Il produttore vendeva le «gorgonzole» (così da noi e in Lombardia erano chiamate) allo stagionatore, il quale, dopo averle sottoposte alla salatura ed alla perforazione, mediante grossi aghi di ottone (che non arrugginisce) le collocava nelle «casere» (famose grotte formatesi in Valsassina attraverso i secoli, nelle viscere delle montagne), dove, in un ambiente relativamente freddo (temperatura costante sui 5/7 gradi circa) con un certo tasso di umidità, erano tenute a stagionare. Esse cioè subivano uno speciale processo di fermentazione naturale, per il quale la «cagliata» originaria «maturava» diventando sàpida e leggermente piccante, mentre i batteri naturali penetrati nelle forme attraverso i buchi provocavano la cosiddetta «erborinatura». Dopo tre mesi all'incirca, il formaggio si presentava al taglio con un colore leggermente avorio, maculato quà e là di strisce verdoline, anzi color del prezzemolo, donde appunto il nome di «erborinatura».
Ho detto che il «Gorgonzola» era famoso non soltanto in Italia, ma anche all'Estero, tanto è vero che le più importanti ditte lecchesi di stagionatura dell'epoca, avevano istituito filiali a Londra, un mercato di grande consumo di questo caratteristico formaggio, che assorbiva oltre il cinquanta per cento della nostra produzione.
La ditta Mattia Locatelli, inoltre, aveva fondato una filiale addirittura a Nuova York, acquistando nella centralissima via un caseggiato, per non esser costretta a prenderne uno in affitto.
Quell'antico procedimento è stato abbandonato «quasi del tutto». Qualche cosa si fa ancora in Valsassina all'uso antico, ma si tratta di una produzione minima, fatta per soddisfare le esigenze dei «palati» sopraffini, che non sono molti, mentre sono moltissimi coloro che mangiano formaggi senza nessuna conoscenza di essi, ignorando come e quando vanno mangiati. Ingollano insomma qualunque cosa venga loro propinata, perchè tanto non ne capiscono nulla.
Il 90 per cento della produzione delle «Gorgonzole» è ottenuta nella Bassa Lombardia, dove il latte (materia prima essenziale, per qualsiasi tipo di formaggio) è abbondante e dove sono stati impiantati nell'ultimo quarantennio giganteschi frigoriferi, nei quali opera la stagionatura. Sono state le esigenze di natura economica a provocare questa trasformazione. Nella «casera» della Valsassina occorrevano tre mesi o poco più per una stagionatura perfetta. Nei frigoriferi della Bassa Lombardia bastano quaranta giorni. Ognuno capisce che gli stagionatori di un tempo, posto che avessero in «casera» forme per il valore di un milione, impegnavano tale capitale, senza poterne ricavare un reddito soddisfacente, per novanta o cento giorni. Oggi, invece, dopo soli quaranta giorni riescono a smobilizzare il capitale investito. Se calcolate che una grossa ditta ha, per ipotesi, un centinaio di milioni così investiti, capite subito come oggi possa essere rapidamente reintegrato il suo capitale circolante.
Naturalmente, il gorgonzola di oggi è buono ma è poco piccante si presenta molto bene (fu per legge statuale vietato l'uso della scorza di baritina, che veniva impiegata un tempo per la protezione del formaggio) è saporito; ma non ha più quel «quid» di superiore aroma, di quello d'allora.
La vera «morte» del gorgonzola è di mangiarlo con la polenta appena sfornata sul tagliere. Errore, grosso errore, è mangiarlo alla fine del pasto. Almeno cosi fanno i buongustai, che ripeto non sono molti. La massa dei consumatori è totalmente incompetente e lo mangia nelle maniere più sbagliate.
Frugando fra le mie carte di un tempo, ho rinvenuto la copia di una «Memoriale» che stesi nella primavera del 1918, a Roma, dietro preghiera di un amico tale Guglielmo Pirovano (era stato esonerato dal servizio militare, perché mezzo - matto, o, non mi rammento bene, fintosi matto, per salvare la «ghirba») dipendente da un importante stagionatore di gorgonzola di Lecco ma inviato a Roma da tutte le ditte produttrici del «Gorgonzola» alleatesi. (Gli stagionatori avevano le «casere» in Valsassina, ma quasi tutti abitavano a Lecco, dove avevano anche gli uffici commerciali). Le ditte firmatarie di quel «Memoriale» erano (le elenco in ordine alfabetico), Bodega, Corsi, Corti, Crimella, Galbani, Invernizzi, Locatelli, Ozzola, Rigat, Selva. Nel corso degli anni a questo amico (era stato mio compagno di certe matterie in tempo di carnevale) dovetti redigere in buon italiano il Memoriale. Lo riproduco a titolo di curiosità:

Memoriale delle ditte di Lecco produttrici del formaggio gorgonzola
«È noto come l'industria della stagionatura del «Gorgonzola» sia, nel territorio di Lecco, fra le più importanti... Ma purtroppo oggi si profila la minaccia della sua rovina, se non intervengano tempestivamente seri ed efficaci rimedi.
Agli stagionatori del »Gorgonzola» è stata creata una posizione assai difficile dalla impossibilità che essi hanno di riuscire a procurarselo presso i produttori delle «Gorgonzole» fresche al prezzo fissato dal calmiere - che pure è prezzo per loro grandemente remunerativo! - mentre essi stessi (gli stagionatori) sono sottoposti e vessati anzi dalle frequenti requisizioni delle «gorgonzole» mature al prezzo d'imperio.
Ne deriva che gli stagionatori, per non smetterne il commercio, debbono pagare la merce fresca a tot lire al quintale più del calmiere, mentre debbono vendere appunto al prezzo imposto dall'autorità per mezzo del calmiere, la merce stagionata, perdendo cosi somme non indifferenti.
Da taluni si opina che occorrerebbe aumentare il prezzo fissato dal calmiere; ma la grande maggioranza delle Ditte commercianti in questa materia fa rilevare che tale aumento non risolverebbe il problema. Infatti i produttori non desisterebbero certo dal pretendere nelle vendite un «sopraprezzo». Cosicchè si tornerebbe alla situazione attuale (devesi poi notare che il gorgonzola è merce di grande consumo.
Invece la soluzione della questione è un'altra. I prezzi attuali (dati quelli del latte stipulati dai lattai sino a San Giorgio del 19 agosto prossimo) sono più che sufficientemente remunerativi, purchè vengano rispettati nelle vendite della merce fresca. Basta dunque far sì che il calmiere d'origine sia osservato.
Per ottenere questo rispetto, gli stagionatori ed i negozianti di Lecco propongono che il Governo faccia, per il gorgonzola, quello che ha fatto per il burro: un Consorzio obbligatorio per tutti i commercianti del genere, al quale Consorzio dovrebbe essere consegnata tutta la merce fresca da ripartirsi fra i Consorziati in proporzione della potenzialità di ciascuno di essi, sotto la vigilanza di un Commissario governativo. Il ritiro della produzione fresca verrebbe eseguito da un'apposita Commissione nominata dal Consorzio.
In tale maniera sarebbero tutelati tanto l'interesse dei commercianti, quanto quello della popolazione, che non sarebbe costretta a subire un ulteriore aumento di prezzo di un formaggio di così largo consumo.
Non si deve poi dimenticare che l'aumento dei prezzi d'imperio del gorgonzola peggiorerebbe le condizioni di produzione del burro, che già scarseggia a causa del maggiore ricavo che si ottiene dalla produzione di varie qualità di formaggi.
In linea subordinatissima, le Ditte esercenti la stagionatura del Gorgonzola chiedono che per tale formaggio sia tolto il calmiere.

Perchè il lettore possa orientarsi circa i prezzi di quel tempo così lontano, avverto che a termini di calmiere, il gorgonzola costava al minuto L. 1,80 al chilo, all'ingrosso il prezzo si aggirava sulle L. 1,20 al chilo. Ma gli stagionatori erano costretti a pagare ai produttori, se volevano avere la merce, L. 0,30 - L. 0,40 e perfino L. 0,50 al chilo in più del prezzo del calmiere.

***

Che cosa sia avvenuto in seguito alla presentazione al competente Ministero da parte mia, naturalmente con l'appoggio dell'on. Cermenati, non ricordo. Dovete pur capire, miei ventiquattro... lettori, che, dopo tutto, io in tutt'altre faccende affaccendato (dovevo rispettare i doveri del mio ufficio, ed inoltre studiare per prepararmi a taluni esami universitari, facoltà di giurisprudenza presso la Università di Genova) non poteva tenere a mente tutte le «pratiche» (erano centinaia e centinaia) che pervenivano al Gabinetto dell'on. Cermenati, nella massima parte preghiere di sollecitazioni per le liquidazioni delle pensioni di guerra, poi c'erano «rogne» individuali, petizioni di Comuni e Comuni, per questa o quella questione, opera per l'assolvimento da parte del Comitato, che era stato istituito dallo stesso Cermenati, all'inizio della guerra per l'assistenza alle famiglie dei richiamati in servizio militare, assistenza sacrosanta, e che venne compiuta disinteressatamente (non come succede oggi che tutti gli «sciacalli» (e sono numerosi) rubano a man salva, in qualunque posto di comando si trovino, anche sulla pelle di coloro che sono stati colpiti da sciagure immani), sino alla fine del conflitto ed anche per un certo periodo successivo.
Al postutto, non ero un'«archivio» vivente ed ambulante.
Oggi, a quasi sessanta anni di distanza, consiglio a tutti coloro che facciano consumo di formaggio, e che credo siano aumentati per via dei predicozzi di sceglierli come cibo «alternativo» alla carne, i cui prezzi sono saliti alle stelle, di fare largo consumo di Gorgonzola, ma seguendo il criterio dei buongustai. E cosi via.
Prima della questione concernente la inadeguatezza dei prezzi del gorgonzola all'origine, c'era stata una «grana» più importante. Entrata l'Italia in guerra nel maggio del 1915, il Governo del tempo dovette prendere alcuni gravi provvedimenti anche nel campo economico, come vietare la esportazione dei formaggi duri (lodigiano, parmigiano, reggiano, pecorino toscano e romano, ecc.) perché non ne rimanesse sprovvisto il Paese. Non potè prendere uguale provvedimento a riguardo del gorgonzola per la semplice ragione che la sua produzione non si sarebbe potuta smaltire in Italia, anche se tutti, bambini compresi, si fossero messi a mangiarne a quattro palmenti. Infatti, ben il settantacinque per cento della produzione del sàpido formaggio era, da tanti anni, venduto all'Inghilterra, colà trasportato per ferrovia, cioè col mezzo più economico. Diventato impossibile fare uso della «via-terra» per l'invasione di mezza Europa da parte della Germania, non restava che far passare la merce attraverso la Francia meridionale (ancora libera) farla arrivare a Bordeaux e di là per mare farle raggiungere le isole britanniche. Ma fu difficile mettere d'accordo i Governi francese ed inglese circa la questione dell'attraversamento di mezza Francia ed il successivo viaggio verso l'Inghilterra e intanto c'erano tonnellate di merce «matura» ferme nei magazzini degli stagionatori, che correvano il pericolo di andare in malora, non potendosi allora, quando «l'industria del freddo» non era progredita com'è oggi, conservarla troppo a lungo. Cominciò pertanto un affannoso lavorio tra il nostro Governo (sul quale premeva il deputato di Lecco, prof. Cermenati, stato interessato dagli stagionatori, ch'erano quasi tutti valsassinesi e lecchesi) ed i Governi del «quai d'Orsay» e del «Foreign Office», cioè delle due Nazioni che, dopo il 24 maggio '15, erano diventate nostre alleate. Di esse ovviamente la più preoccupata era, come può ben immaginarsi, la Gran Bretagna, cioè la destinataria del gorgonzola tanto apprezzato dai suoi sudditi, i quali usavano mangiarlo spalmandolo sul «pan carré» e mescolandovi un po' di burro per addolcirne il... sapore piccante. Quanto Dio volle, l'impasse fu superato ed un treno di ben venti vagoni strapieni di forme di gorgonzola dirette alla volta di «Albione», potè finalmente lasciare l'Italia per il complicato viaggio «terra-mare», prima che i vermi...celli le avessero ad invadere.


"gorgonzole" nella fase della stagionatura

tipi di imballaggio delle "gorgonzole"

Per completare l'argomento che può interessare i veri buongustai di questo eccellente formaggio nostrano, riporto integralmente l'interessante «pezzo» di Massimo Alberini (che è appunto un giornalista che s'interessa molto di due argomenti: la culinaria e i circhi (!), apparso sul «Corriere della Sera- dal 21 gennaio 1976.

Il gorgonzola di altri tempi. Gli Italiani, soprattutto quelli della Val Padana, sono convinti d'essere sempre degli intenditori di formaggio gorgonzola, come lo furono i loro padri. I dati statistici lo confermerebbero. Delle 300 mila forme - peso medio 10 chili - prodotte ogni settimana nel centinaio di caseifici piemontesi e lombardi, moltissime vengono consumate in loco, da clienti affezionati al «prodotto». Ma si tratta proprio di gorgonzola?
Come spesso capita, noi italiani eravamo convinti che quel formaggio fosse nostra geniale scoperta esclusiva. In realtà, lo stracchino di Gorgonzola (tale il nome originario e completo) si inserì, probabilmente dopo gli altri, nella grande famiglia europea dei caci contaminati da una «nobile muffa», quella dovuta al penicillum glaucum; «classe» comprendente i francesi Roquefort (di latte di pecora) e tutta la dinastia del blues (di Bresse, d'Auvergne, Gex, Sassenage, Septmoncel) e altri di latte vaccino, lo stilton in Gran Bretagna, e, oggi nostri notevoli concorrenti, lo scandinavo danablu e tedesco bergader.
La storiella risalirebbe agli ultimi secoli, quando Gorgonzola era, in autunno, il centro di raccolta delle mandrie dei «bergamini» che avevano passato l'estate in montagna. Era nel paesetto lombardo che i nostri allevatori, prima di tornare a casa, preparavano, col latte delle mucche stanche (vale a dire stracche) lo stracchino. E fu nella cantina di una trattoria che il formaggio, fermentando, fu invaso da quello che i lombardi chiamarono erborinn, prezzemolo: ancora oggi, essi definiscono infatti il gorgonzola «formaggio erborinato» in parallelo con il persillé francese.
«Quel gorgonzola - dicono i dirigenti del Consorzio fra produttori e stagionatori, istituito nel 1970, e che dal marzo 1975 è autorizzato a marchiare le forme - aveva caratteristiche sue. Era un formaggio di latte parzialmente scremato, lo si otteneva miscelando due cagliate ottenute in ore diverse, e il «verde» si diffondeva spontaneamente. Maturazione lunga, almeno 90 giorni, muffa di colore scuro, pasta gessosa, sapore e odore forti e decisi. Tutte cose che oggi, alla gente, non piacciono più. Si cercano formaggi dolci, grassi, con pochissime venature, maturazione rapida; quindi si lavora latte intero, con penicilli selezionati, forniti dal Centro sperimentale del latte. A noi va benissimo. Contro decine di migliaia di forme dolci, se ne fanno pochissime di «naturale», proprio per qualche intenditore che si ostina a chiederlo».
Il nuovo gorgonzola ha, quindi, ben poco di comune con l'antico. Anche nei nomi. Fin da quando iniziò a conquistare il mercato, negli Anni Trenta, sulle stagnole «goffrate» con il marchio del consorzio si leggono marchi «poetici».
Il Consorzio prepara ricettari, indice gare fra i ristoranti. Il consumatore del futuro si convincerà che il vero gorgonzola è solo quello dolce, leggero, che a lui piace, anche se non sarebbe piaciuto ai vecchi lombardi.
Massimo Alberini


un'ammucchiata di "gorgonzole" nella fase di confezionatura

casera nella quale venivano stagionate le "gorgonzole"

Fra il metodo di produzione del gorgonzola «naturale», cioè lasciato stagionare senza forzature o artifici, nelle casere di montagna, e quelle ottenuto alla «Bassa» (il Novarese attualmente è la zona di massima concentrazione di quest'ultimo tipo) ci sono talune differenze che poi sono quelle che incidono sulla qualità e sul gusto.
Secondo il metodo «naturale» il bergamino mette il caglio (1) nel latte intero che appena munto è tiepido (25°/27°) ottenendo così il prodotto della coagulazione detto «cagliata», in dialetto «cagiada» (2).
La regola applicata per secoli era che si dovessero mescolare insieme due «cagliate» da latti munti in ore diverse (solitamente delle due mungiture della mattina e della sera).
La cagliata veniva posta in un «fagotto» di tela, che a sua volta era calato in una «fasciera» di legno (legno sottile e leggero curvato in modo da formare un cerchio) stretta con una cordicella, che, affinchè non si sciogliesse, era tenuta fissa con un «gavitello» (un pezzetto di legno).
Qui cessava l'opera del bergamino che consegnava le «fasciere» allo stagionatore, riscuoteva il prezzo e tornava a casa. Gli addetti alla stagionatura aprivano i «fagotti», deposti su un grande tavolo (sperson) e dopo dodici ore toglievano la «fasciera», perchè la «cagliata» aveva ormai una consistenza sufficiente.
A questo punto, le forme erano trasferite nel locale detto «salatoio», dove, come dice il termine, venivano salate; le si cospargevano di sale marino, tanto sulle due superfici circolari quanto sui lati. II sale, assorbito per osmosi, espelleva il siero rimasto nella pasta.
Le forme rimanevano una ventina di giorni nel «salatoio» (subivano nel frattempo un'altra salatura) alla temperatura di 15°/20° (d'inverno si accendeva una piccola stufa per ottenere questa temperatura) si toglievano e si trasportavano nelle «casere» oppure, quando furono inventate, in celle frigorifere; dopo che erano state sottoposte alla perforazione, fatta con spilloni di ottone. La perforazione aveva lo scopo di favorire la «erborinatura» del formaggio (3). Da quel momento aveva inizio il processo di maturazione o più tecnicamente di stagionatura (4) che durava un po' più di due mesi circa.
La temperatura più adatta a favorire tale processo era quella di 5°/7°, con una umidità del 90 per cento. Di 8°/10° durante il primo mese con una umidità del 65/90 per cento.
Nell'ultimo periodo di circa un mese la temperatura doveva essere di 4°/5° con una umidità del 90/100 per cento. Nelle casere per ottenere tale umidità i bergamini gettavano per terra paioli di acqua assai calda.
Dopo la stagionatura - intanto erano passati complessivamente novanta giorni, a partire dalla «cagliata» - il gorgonzola era immesso al consumo.

Metodo della produzione industriale: Con questo metodo, che attualmente è il più diffuso, si produce il 90% del gorgonzola. II «bergamino» è stato eliminato; tutte le operazioni di raccolta del latte, formazione della «cagliata», pastorizzazione (questa è la vera novità del procedimento industriale) (5) del latte portato alla temperatura di circa 38 gradi, «messa nelle forme», eccetera, si svolgono nel medesimo luogo. Per la stagionatura non si usano più le «casere», delle quali, del resto, non ci sarebbe più un numero sufficiente, dato l'enorme aumento, in un cinquantennio, del gorgonzola, ma si ricorre a grandi frigoriferi, dove si immettono migliaia di forme. Se quelli, diciamo così normali, ne tengono 10/20 mila, ce n'è taluni che possono ospitare fino a 100 mila forme!
La durata della stagionatura è ridotta ad un periodo di tempo tra i quaranta e i cinquanta giorni; cosicchè, il capitale circolante investito dagli industriali viene ricostituito più rapidamente che nel passato con la produzione «naturale», con una riduzione dei costi di produzione, mediante un procedimento per mezzo di speciali macchinari.

(1) Caglio - Sostanza acida adoperata per provocare la coagulazione del latte. preparata col quarto stomaco dei ruminanti lattanti.
(2) Cagiada - Poiché essa é molliccia, il popolino affibbia questo termine ad un uomo fiacco, indeciso, senza volontà, incapace di far fronte a decisioni da prendere rapidamente: .Va là, che te see una cagiada..
(3) Erborinatura Il caratteristico aspetto con striature di muffa verde del gorgonzola (Dal milanese erborin, prezzemolo).
(4) Stagionatura - Operazione intesa a conferire a un prodotto la maggiore stabilità possibile, consistente nella conservazione del prodotto stesso in adatte condizioni ambientali per un periodo generalmente piuttosto lungo.
(5) Pastorizzazione - Trattamento termico a temperatura relativamente bassa (generalmente inferiore a 70° C.) praticato ad alimenti per conferire loro stabilità biologica o enzimatica (gli enzimi sono sostanze organiche generalmente derivanti da organismi animali o vegetali, che sono capaci di realizzare una reazione chimica o più comunemente .biochimica.) distruggendo gli agenti delle alterazioni senza troppo danneggiare componenti chimici e biologici e alterare sapore e appetibilità del prodotto.

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