Uno
dei formaggi onde la Valsassina andò famosa in tutta Europa,
ed anche «over seas», oltre gli oceani,
è stato il Gorgonzola, del quale è tipico
l'aspetto, una volta che sia tagliato e stimolante tanto da far venire
l'acquolina in bocca al solo sentirne il profumo. Le forme erano
preparate dai «produttori» nella caratteristica
sagoma di un cilindro, del diametro di centimetri 28 e dell'altezza di
circa cent. 14 del peso di 10 chili circa. Il produttore vendeva le
«gorgonzole» (così da noi e in Lombardia
erano chiamate) allo stagionatore, il quale, dopo averle sottoposte
alla salatura ed alla perforazione, mediante grossi aghi di ottone (che
non arrugginisce) le collocava nelle «casere»
(famose grotte formatesi in Valsassina attraverso i secoli, nelle
viscere delle montagne), dove, in un ambiente relativamente freddo
(temperatura costante sui 5/7 gradi circa) con un certo tasso di
umidità, erano tenute a stagionare. Esse cioè
subivano uno speciale processo di fermentazione naturale, per il quale
la «cagliata» originaria
«maturava» diventando sàpida e
leggermente piccante, mentre i batteri naturali penetrati nelle forme
attraverso i buchi provocavano la cosiddetta
«erborinatura». Dopo tre mesi all'incirca, il
formaggio si presentava al taglio con un colore leggermente avorio,
maculato quà e là di strisce verdoline, anzi
color del prezzemolo, donde appunto il nome di
«erborinatura».
Ho detto che il «Gorgonzola» era famoso non
soltanto in Italia, ma anche all'Estero, tanto è vero che le
più importanti ditte lecchesi di stagionatura dell'epoca,
avevano istituito filiali a Londra, un mercato di grande consumo di
questo caratteristico formaggio, che assorbiva oltre il cinquanta per
cento della nostra produzione.
La ditta Mattia Locatelli, inoltre, aveva fondato una filiale
addirittura a Nuova York, acquistando nella centralissima via un
caseggiato, per non esser costretta a prenderne uno in affitto.
Quell'antico procedimento è stato abbandonato
«quasi del tutto». Qualche cosa si fa ancora in
Valsassina all'uso antico, ma si tratta di una produzione minima, fatta
per soddisfare le esigenze dei «palati» sopraffini,
che non sono molti, mentre sono moltissimi coloro che mangiano formaggi
senza nessuna conoscenza di essi, ignorando come e quando vanno
mangiati. Ingollano insomma qualunque cosa venga loro propinata,
perchè tanto non ne capiscono nulla.
Il 90 per cento della produzione delle «Gorgonzole»
è ottenuta nella Bassa Lombardia, dove il latte (materia
prima essenziale, per qualsiasi tipo di formaggio) è
abbondante e dove sono stati impiantati nell'ultimo quarantennio
giganteschi frigoriferi, nei quali opera la stagionatura. Sono state le
esigenze di natura economica a provocare questa trasformazione. Nella
«casera» della Valsassina occorrevano tre mesi o
poco più per una stagionatura perfetta. Nei frigoriferi
della Bassa Lombardia bastano quaranta giorni. Ognuno capisce che gli
stagionatori di un tempo, posto che avessero in
«casera» forme per il valore di un milione,
impegnavano tale capitale, senza poterne ricavare un reddito
soddisfacente, per novanta o cento giorni. Oggi, invece, dopo soli
quaranta giorni riescono a smobilizzare il capitale investito. Se
calcolate che una grossa ditta ha, per ipotesi, un centinaio di milioni
così investiti, capite subito come oggi possa essere
rapidamente reintegrato il suo capitale circolante.
Naturalmente, il gorgonzola di oggi è buono ma è
poco piccante si presenta molto bene (fu per legge statuale vietato
l'uso della scorza di baritina, che veniva impiegata un tempo per la
protezione del formaggio) è saporito; ma non ha
più quel «quid» di superiore aroma, di
quello d'allora.
La vera «morte» del gorgonzola è di
mangiarlo con la polenta appena sfornata sul tagliere. Errore, grosso
errore, è mangiarlo alla fine del pasto. Almeno cosi fanno i
buongustai, che ripeto non sono molti. La massa dei consumatori
è totalmente incompetente e lo mangia nelle maniere
più sbagliate.
Frugando fra le mie carte di un tempo, ho rinvenuto la copia di una
«Memoriale» che stesi nella primavera del 1918, a
Roma, dietro preghiera di un amico tale Guglielmo Pirovano (era stato
esonerato dal servizio militare, perché mezzo - matto, o,
non mi rammento bene, fintosi matto, per salvare la
«ghirba») dipendente da un importante stagionatore
di gorgonzola di Lecco ma inviato a Roma da tutte le ditte produttrici
del «Gorgonzola» alleatesi. (Gli stagionatori
avevano le «casere» in Valsassina, ma quasi tutti
abitavano a Lecco, dove avevano anche gli uffici commerciali). Le ditte
firmatarie di quel «Memoriale» erano (le elenco in
ordine alfabetico), Bodega, Corsi, Corti, Crimella, Galbani,
Invernizzi, Locatelli, Ozzola, Rigat, Selva. Nel corso degli anni a
questo amico (era stato mio compagno di certe matterie in tempo di
carnevale) dovetti redigere in buon italiano il Memoriale. Lo riproduco
a titolo di curiosità:
Memoriale
delle ditte di Lecco produttrici del formaggio gorgonzola
«È noto come
l'industria della stagionatura del «Gorgonzola»
sia, nel territorio di Lecco, fra le più importanti... Ma
purtroppo oggi si profila la minaccia della sua rovina, se non
intervengano tempestivamente seri ed efficaci rimedi.
Agli stagionatori del »Gorgonzola» è
stata creata una posizione assai difficile dalla
impossibilità che essi hanno di riuscire a procurarselo
presso i produttori delle «Gorgonzole» fresche al
prezzo fissato dal calmiere - che pure è prezzo per loro
grandemente remunerativo! - mentre essi stessi (gli stagionatori) sono
sottoposti e vessati anzi dalle frequenti requisizioni delle
«gorgonzole» mature al prezzo d'imperio.
Ne deriva che gli stagionatori, per non smetterne il commercio, debbono
pagare la merce fresca a tot lire al quintale più del
calmiere, mentre debbono vendere appunto al prezzo imposto
dall'autorità per mezzo del calmiere, la merce stagionata,
perdendo cosi somme non indifferenti.
Da taluni si opina che occorrerebbe aumentare il prezzo fissato dal
calmiere; ma la grande maggioranza delle Ditte commercianti in questa
materia fa rilevare che tale aumento non risolverebbe il problema.
Infatti i produttori non desisterebbero certo dal pretendere nelle
vendite un «sopraprezzo». Cosicchè si
tornerebbe alla situazione attuale (devesi poi notare che il gorgonzola
è merce di grande consumo.
Invece la soluzione della questione è un'altra. I prezzi
attuali (dati quelli del latte stipulati dai lattai sino a San Giorgio
del 19 agosto prossimo) sono più che sufficientemente
remunerativi, purchè vengano rispettati nelle vendite della
merce fresca. Basta dunque far sì che il calmiere d'origine
sia osservato.
Per ottenere questo rispetto, gli stagionatori ed i negozianti di Lecco
propongono che il Governo faccia, per il gorgonzola, quello che ha
fatto per il burro: un Consorzio obbligatorio per tutti i commercianti
del genere, al quale Consorzio dovrebbe essere consegnata tutta la
merce fresca da ripartirsi fra i Consorziati in proporzione della
potenzialità di ciascuno di essi, sotto la vigilanza di un
Commissario governativo. Il ritiro della produzione fresca verrebbe
eseguito da un'apposita Commissione nominata dal Consorzio.
In tale maniera sarebbero tutelati tanto l'interesse dei commercianti,
quanto quello della popolazione, che non sarebbe costretta a subire un
ulteriore aumento di prezzo di un formaggio di così largo
consumo.
Non si deve poi dimenticare che l'aumento dei prezzi d'imperio del
gorgonzola peggiorerebbe le condizioni di produzione del burro, che
già scarseggia a causa del maggiore ricavo che si ottiene
dalla produzione di varie qualità di formaggi.
In linea subordinatissima, le Ditte esercenti la stagionatura del
Gorgonzola chiedono che per tale formaggio sia tolto il calmiere.
Perchè
il lettore possa orientarsi circa i prezzi di quel tempo
così lontano, avverto che a termini di calmiere, il
gorgonzola costava al minuto L. 1,80 al chilo, all'ingrosso il prezzo
si aggirava sulle L. 1,20 al chilo. Ma gli stagionatori erano costretti
a pagare ai produttori, se volevano avere la merce, L. 0,30 - L. 0,40 e
perfino L. 0,50 al chilo in più del prezzo del calmiere.
***
Che
cosa sia avvenuto in seguito alla presentazione al competente Ministero
da parte mia, naturalmente con l'appoggio dell'on. Cermenati, non
ricordo. Dovete pur capire, miei ventiquattro... lettori, che, dopo
tutto, io in tutt'altre faccende affaccendato (dovevo rispettare i
doveri del mio ufficio, ed inoltre studiare per prepararmi a taluni
esami universitari, facoltà di giurisprudenza presso la
Università di Genova) non poteva tenere a mente tutte le
«pratiche» (erano centinaia e centinaia) che
pervenivano al Gabinetto dell'on. Cermenati, nella massima parte
preghiere di sollecitazioni per le liquidazioni delle pensioni di
guerra, poi c'erano «rogne» individuali, petizioni
di Comuni e Comuni, per questa o quella questione, opera per
l'assolvimento da parte del Comitato, che era stato istituito dallo
stesso Cermenati, all'inizio della guerra per l'assistenza alle
famiglie dei richiamati in servizio militare, assistenza sacrosanta, e
che venne compiuta disinteressatamente (non come succede oggi che tutti
gli «sciacalli» (e sono numerosi) rubano a man
salva, in qualunque posto di comando si trovino, anche sulla pelle di
coloro che sono stati colpiti da sciagure immani), sino alla fine del
conflitto ed anche per un certo periodo successivo.
Al postutto, non ero un'«archivio» vivente ed
ambulante.
Oggi, a quasi sessanta anni di distanza, consiglio a tutti coloro che
facciano consumo di formaggio, e che credo siano aumentati per via dei
predicozzi di sceglierli come cibo «alternativo»
alla carne, i cui prezzi sono saliti alle stelle, di fare largo consumo
di Gorgonzola, ma seguendo il criterio dei buongustai. E cosi via.
Prima della questione concernente la inadeguatezza dei prezzi del
gorgonzola all'origine, c'era stata una «grana»
più importante. Entrata l'Italia in guerra nel maggio del
1915, il Governo del tempo dovette prendere alcuni gravi provvedimenti
anche nel campo economico, come vietare la esportazione dei formaggi
duri (lodigiano, parmigiano, reggiano, pecorino toscano e romano, ecc.)
perché non ne rimanesse sprovvisto il Paese. Non
potè prendere uguale provvedimento a riguardo del gorgonzola
per la semplice ragione che la sua produzione non si sarebbe potuta
smaltire in Italia, anche se tutti, bambini compresi, si fossero messi
a mangiarne a quattro palmenti. Infatti, ben il settantacinque per
cento della produzione del sàpido formaggio era, da tanti
anni, venduto all'Inghilterra, colà trasportato per
ferrovia, cioè col mezzo più economico. Diventato
impossibile fare uso della «via-terra» per
l'invasione di mezza Europa da parte della Germania, non restava che
far passare la merce attraverso la Francia meridionale (ancora libera)
farla arrivare a Bordeaux e di là per mare farle raggiungere
le isole britanniche. Ma fu difficile mettere d'accordo i Governi
francese ed inglese circa la questione dell'attraversamento di mezza
Francia ed il successivo viaggio verso l'Inghilterra e intanto c'erano
tonnellate di merce «matura» ferme nei magazzini
degli stagionatori, che correvano il pericolo di andare in malora, non
potendosi allora, quando «l'industria del freddo»
non era progredita com'è oggi, conservarla troppo a lungo.
Cominciò pertanto un affannoso lavorio tra il nostro Governo
(sul quale premeva il deputato di Lecco, prof. Cermenati, stato
interessato dagli stagionatori, ch'erano quasi tutti valsassinesi e
lecchesi) ed i Governi del «quai d'Orsay» e del
«Foreign Office», cioè delle due Nazioni
che, dopo il 24 maggio '15, erano diventate nostre alleate. Di esse
ovviamente la più preoccupata era, come può ben
immaginarsi, la Gran Bretagna, cioè la destinataria del
gorgonzola tanto apprezzato dai suoi sudditi, i quali usavano mangiarlo
spalmandolo sul «pan carré» e
mescolandovi un po' di burro per addolcirne il... sapore piccante.
Quanto Dio volle, l'impasse fu superato ed un treno di ben venti vagoni
strapieni di forme di gorgonzola dirette alla volta di
«Albione», potè finalmente lasciare
l'Italia per il complicato viaggio «terra-mare»,
prima che i vermi...celli le avessero ad invadere.
|
Per
completare l'argomento che può interessare i veri buongustai
di questo eccellente formaggio nostrano, riporto integralmente
l'interessante «pezzo» di Massimo Alberini (che
è appunto un giornalista che s'interessa molto di due
argomenti: la culinaria e i circhi (!), apparso sul «Corriere
della Sera- dal 21 gennaio 1976.
Il gorgonzola di altri tempi.
Gli Italiani,
soprattutto quelli della Val Padana, sono convinti d'essere sempre
degli intenditori di formaggio gorgonzola, come lo furono i loro padri.
I dati statistici lo confermerebbero. Delle 300 mila forme - peso medio
10 chili - prodotte ogni settimana nel centinaio di caseifici
piemontesi e lombardi, moltissime vengono consumate in loco, da clienti
affezionati al «prodotto». Ma si tratta proprio di
gorgonzola?
Come spesso capita, noi italiani eravamo convinti che quel formaggio
fosse nostra geniale scoperta esclusiva. In realtà, lo
stracchino di Gorgonzola (tale il nome originario e completo) si
inserì, probabilmente dopo gli altri, nella grande famiglia
europea dei caci contaminati da una «nobile muffa»,
quella dovuta al penicillum glaucum; «classe»
comprendente i francesi Roquefort (di latte di pecora) e tutta la
dinastia del blues (di Bresse, d'Auvergne, Gex, Sassenage, Septmoncel)
e altri di latte vaccino, lo stilton in Gran Bretagna, e, oggi nostri
notevoli concorrenti, lo scandinavo danablu e tedesco bergader.
La storiella risalirebbe agli ultimi secoli, quando Gorgonzola era, in
autunno, il centro di raccolta delle mandrie dei
«bergamini» che avevano passato l'estate in
montagna. Era nel paesetto lombardo che i nostri allevatori, prima di
tornare a casa, preparavano, col latte delle mucche stanche (vale a
dire stracche) lo stracchino. E fu nella cantina di una trattoria che
il formaggio, fermentando, fu invaso da quello che i lombardi
chiamarono erborinn, prezzemolo: ancora oggi, essi definiscono infatti
il gorgonzola «formaggio erborinato» in parallelo
con il persillé francese.
«Quel gorgonzola - dicono i dirigenti del Consorzio fra
produttori e stagionatori, istituito nel 1970, e che dal marzo 1975
è autorizzato a marchiare le forme - aveva caratteristiche
sue. Era un formaggio di latte parzialmente scremato, lo si otteneva
miscelando due cagliate ottenute in ore diverse, e il
«verde» si diffondeva spontaneamente. Maturazione
lunga, almeno 90 giorni, muffa di colore scuro, pasta gessosa, sapore e
odore forti e decisi. Tutte cose che oggi, alla gente, non piacciono
più. Si cercano formaggi dolci, grassi, con pochissime
venature, maturazione rapida; quindi si lavora latte intero, con
penicilli selezionati, forniti dal Centro sperimentale del latte. A noi
va benissimo. Contro decine di migliaia di forme dolci, se ne fanno
pochissime di «naturale», proprio per qualche
intenditore che si ostina a chiederlo».
Il nuovo gorgonzola ha, quindi, ben poco di comune con l'antico. Anche
nei nomi. Fin da quando iniziò a conquistare il mercato,
negli Anni Trenta, sulle stagnole «goffrate» con il
marchio del consorzio si leggono marchi «poetici».
Il Consorzio prepara ricettari, indice gare fra i ristoranti. Il
consumatore del futuro si convincerà che il vero gorgonzola
è solo quello dolce, leggero, che a lui piace, anche se non
sarebbe piaciuto ai vecchi lombardi.
Massimo Alberini
|
Fra
il metodo di produzione del gorgonzola «naturale»,
cioè lasciato stagionare senza forzature o artifici, nelle
casere di montagna, e quelle ottenuto alla «Bassa»
(il Novarese attualmente è la zona di massima concentrazione
di quest'ultimo tipo) ci sono talune differenze che poi sono quelle che
incidono sulla qualità e sul gusto.
Secondo il metodo «naturale» il bergamino mette il
caglio (1) nel latte intero che appena munto
è tiepido (25°/27°) ottenendo
così il prodotto della coagulazione detto
«cagliata», in dialetto
«cagiada» (2).
La regola applicata per secoli era che si dovessero mescolare insieme
due «cagliate» da latti munti in ore diverse
(solitamente delle due mungiture della mattina e della sera).
La cagliata veniva posta in un «fagotto» di tela,
che a sua volta era calato in una «fasciera» di
legno (legno sottile e leggero curvato in modo da formare un cerchio)
stretta con una cordicella, che, affinchè non si
sciogliesse, era tenuta fissa con un «gavitello»
(un pezzetto di legno).
Qui cessava l'opera del bergamino che consegnava le
«fasciere» allo stagionatore, riscuoteva il prezzo
e tornava a casa. Gli addetti alla stagionatura aprivano i
«fagotti», deposti su un grande tavolo (sperson) e
dopo dodici ore toglievano la «fasciera»,
perchè la «cagliata» aveva ormai una
consistenza sufficiente.
A questo punto, le forme erano trasferite nel locale detto
«salatoio», dove, come dice il termine, venivano
salate; le si cospargevano di sale marino, tanto sulle due superfici
circolari quanto sui lati. II sale, assorbito per osmosi, espelleva il
siero rimasto nella pasta.
Le forme rimanevano una ventina di giorni nel
«salatoio» (subivano nel frattempo un'altra
salatura) alla temperatura di 15°/20° (d'inverno si
accendeva una piccola stufa per ottenere questa temperatura) si
toglievano e si trasportavano nelle «casere»
oppure, quando furono inventate, in celle frigorifere; dopo che erano
state sottoposte alla perforazione, fatta con spilloni di ottone. La
perforazione aveva lo scopo di favorire la
«erborinatura» del formaggio (3).
Da quel momento aveva inizio il processo di maturazione o
più tecnicamente di stagionatura (4) che
durava un po' più di due mesi circa.
La temperatura più adatta a favorire tale processo era
quella di 5°/7°, con una umidità del 90 per
cento. Di 8°/10° durante il primo mese con una
umidità del 65/90 per cento.
Nell'ultimo periodo di circa un mese la temperatura doveva essere di
4°/5° con una umidità del 90/100 per cento.
Nelle casere per ottenere tale umidità i bergamini gettavano
per terra paioli di acqua assai calda.
Dopo la stagionatura - intanto erano passati complessivamente novanta
giorni, a partire dalla «cagliata» - il gorgonzola
era immesso al consumo.
Metodo
della produzione industriale: Con questo metodo, che
attualmente è il più diffuso, si produce il 90%
del gorgonzola. II «bergamino» è stato
eliminato; tutte le operazioni di raccolta del latte, formazione della
«cagliata», pastorizzazione (questa è la
vera novità del procedimento industriale) (5)
del latte portato alla temperatura di circa 38 gradi, «messa
nelle forme», eccetera, si svolgono nel medesimo luogo. Per
la stagionatura non si usano più le
«casere», delle quali, del resto, non ci sarebbe
più un numero sufficiente, dato l'enorme aumento, in un
cinquantennio, del gorgonzola, ma si ricorre a grandi frigoriferi, dove
si immettono migliaia di forme. Se quelli, diciamo così
normali, ne tengono 10/20 mila, ce n'è taluni che possono
ospitare fino a 100 mila forme!
La durata della stagionatura è ridotta ad un periodo di
tempo tra i quaranta e i cinquanta giorni; cosicchè, il
capitale circolante investito dagli industriali viene ricostituito
più rapidamente che nel passato con la produzione
«naturale», con una riduzione dei costi di
produzione, mediante un procedimento per mezzo di speciali macchinari.
(1)
Caglio - Sostanza acida adoperata per provocare la coagulazione del
latte. preparata col quarto stomaco dei ruminanti lattanti.
(2) Cagiada - Poiché essa é
molliccia, il popolino affibbia questo termine ad un uomo fiacco,
indeciso, senza volontà, incapace di far fronte a decisioni
da prendere rapidamente: .Va là, che te see una cagiada..
(3) Erborinatura Il caratteristico aspetto con
striature di muffa verde del gorgonzola (Dal milanese erborin,
prezzemolo).
(4) Stagionatura - Operazione intesa a conferire a
un prodotto la maggiore stabilità possibile, consistente
nella conservazione del prodotto stesso in adatte condizioni ambientali
per un periodo generalmente piuttosto lungo.
(5) Pastorizzazione - Trattamento termico a
temperatura relativamente bassa (generalmente inferiore a 70°
C.) praticato ad alimenti per conferire loro stabilità
biologica o enzimatica (gli enzimi sono sostanze organiche generalmente
derivanti da organismi animali o vegetali, che sono capaci di
realizzare una reazione chimica o più comunemente
.biochimica.) distruggendo gli agenti delle alterazioni senza troppo
danneggiare componenti chimici e biologici e alterare sapore e
appetibilità del prodotto.
|