VESPASIANO BIGNAMI E LE TRACCE LECCHESI DELLA SCAPIGLIATURA LOMBARDA
VESPASIANO BIGNAMI E LE TRACCE LECCHESI DELLA SCAPIGLIATURA LOMBARDA
"Da qualche anno a questa parte l'Ottocento italiano è venuto di moda. Ma poichè fino a qualche anno fa era svalutato esageratamente e c'è adesso chi lo esalta fuor di misura, tra l'incomprensione di ieri e l'enfasi di oggi la confusione era grande". Così Barbantini, nel 1928, sottolineava la tendenza a rivalutare la produzione pittorica del nostro Ottocento.
Se alla fine del secondo decennio c'era - a detta di Barbantini chi esaltava l'arte dell'Ottocento "fuor di misura", non si può negare che in questi ultimi anni la pittura del secolo scorso non stia tornando di moda.
Grazie a questo revival sono state pubblicate monografie dedicate ai nostri artisti, che rischiavano di essere offuscati dalle meteore d'oltralpe.
In questo rinnovato interesse per l'arte dell'Ottocento ha trovato una nuova e giustificata attenzione la Scapigliatura lombarda; movimento che non ebbe solo espressione pittorica, ma dapprima letteraria, tanto che Rovani - nelle Tre Arti - auspicava un'unità di musica-pittura e letteratura. Unità che trovò compimento nella fondazione della Famiglia Artistica Milanese, nel gennaio del 1873. Questa associazione fu progettata, nel luglio dell'anno precedente, dal pittore - cremonese di nascita ma milanese di adozione - Vespasiano Bignami.
Questi invitò pittori, musicisti e letterati "a costituirsi in un fraterno sodalizio, ad accomunare le loro idee e le loro volontà, infruttuose, perchè divise, e dirigerle al giovamento progressivo e reciproco dei soci e dell'arte. L'avvenire - continuava Bignami - che si schiude al nostro Paese appartiene ai giovani, ed essi principalmente devono sentirsi stimolati a non pretermettere ogni mezzo lodevole che li possa far degni di questo avvenire e capaci di aiutarne la grandezza. I più distinti e provetti poi devono ambire di rendere più salda la fratellanza comune e più efficace l'opera della associazione col concorso del loro nome e della loro esperienza".
Il desiderio di favorire lo sviluppo dell'arte e degli artisti ebbe esiti positivi grazie agli scambi di idee ed alle vivaci discussioni che occupavano i soci nelle ore serali.
A queste animate serate parteciparono anche personalità quali Amilcare Ponchielli ed Antonio Ghislanzoni. La partecipazione del compositore cremonese la si deve, in parte, all'amicizia che lo legava al fondatore della Famiglia: Vespasiano Bignami. Infatti, il pittore ed il compositore si conoscevano da molto tempo, la loro familiarità non era dovuta solamente alla comune origine cremonese - città che Vespasiano abbandonò giovanissimo per trasferirsi a Bergamo, dove studiò pittura all'Accademia Carrara - ma soprattutto al comune interesse per la musica.
Bignami era figlio del direttore e violinista Giacomo, che negli anni Cinquanta assunse la carica di direttore del teatro Sociale di Bergamo.
Il sodalizio Ponchielli-Vespa (il pittore era conosciuto anche con questo soprannome poichè amava firmare le sue opere, ed in modo particolare le caricature, con tale diminutivo) portò il pittore a cimentarsi in campo operistico. Ma poichè, come ricorda lo stesso Bignami, lui era l'unica nota stonata della famiglia, decise di continuare il suo cammino in ambito pittorico pur non rinunciando ad interpretare graficamente le composizioni dell'amico.
Così, nel dicembre del 1872 per la prima rappresentazione al teatro Dal Verme di Milano dell'opera "I Promessi Sposi", Bignami, sulle pagine del giornale umoristico lo "Spirito Folletto", propose una simpatica caricatura del maestro.
Ponchielli è rappresentato nella foga dell'ispirazione che ne altera l'aspetto accentuandone le pieghe del volto e la gestualità delle mani, tanto che fra spartiti disordinati, penne e calamai, l'impeto e la passione travolgono il musicista. La caricatura ed un buffo curriculum tracciato da Vespa contribuirono al successo dell'opera e consolidarono la collaborazione fra i due.
L'anno seguente mentre Bignami proseguiva la sua attività di pittore, portando a termine commissioni impegnative quale la decorazione a tempera di una stanza da bagno ed una camera da letto nella villa Phalene a Nizza, il binomio musicista-pittore si allargò al letterato e librettista lecchese Antonio Ghislanzoni.
Questa nuova unione artistica, favorita anche dal clima instauratosi nella neonata associazione, diede subito frutto.
Infatti nell'autunno del 1873, presso il teatro Sociale di Lecco veniva messo in scena lo scherzo comico "Il Parlatore Eterno".
Alla breve commedia lavorarono tutti e tre gli artisti: Ponchielli compose l'opera, Ghislanzoni ideò il testo mentre. Bignami disegnò i figurini. In questi il pittore non si limitò a proporre abiti adatti al tema della farsa, ma li ideò in modo tale da accentuare il carattere ed il ruolo di ogni personaggio. Così Lelio Cinguetta (Parlatore Eterno) - giovane medico innamorato di Susetta, figlia del Dottor Nespola e di Donna Aspasia - desideroso di ottenere il consenso del padre della giovane amata si rende insopportabile a tal punto da venire raffigurato come un damerino dall'aria insolente. Contrariamente a Lelio, il Dottor Nespola, sorpreso dalla visita dell'inaspettato ospite e seccato per l'eccessiva loquacità di questi, è presentato in una singolare e buffa veste da camera. Nell'acquerello, Vespasiano conferisce al Dottor Nespola non solo l'aria seccata, ma accentuando la sorpresa e la semplicità d'animo del personaggio ne fa una simpaticissima macchietta. Altrettanto simpatico è il figurino di Donna Aspasia. Anche questo personaggio si presenta in scena - secondo il copione - in veste da camera: l'immagine che esce dalla penna di Bignami è quella di una esile donna sbigottita e quasi schiacciata da una grandissima cuffia, grosse pantofole, e da una serie disordinata di trine e nastri. Negli altri figurini la vena pungente del maestro si fa più dolce, tanto che unico elemento che sottolinea il ruolo o il carattere del personaggio è l'espressione del volto.
La collaborazione per la realizzazione di questa farsa scaturì non solo dal nuovo clima culturale proposto dalla Famiglia Artistica, ma soprattutto dai soggiorni degli artisti scapigliati in territorio lecchese ed in particolare a Maggianico.
Questa località ispirò a Vespasiano una delle sue tele più belle: "Mattino sulla vecchia strada di Maggianico", e qui, col pittore Roberto Fontana, affrescò l'Allegria sulla facciata dell'albergo Davide. Il dipinto non fu un vero e proprio affresco, anzi fu piuttosto un "a secco" perchè gli artisti non si curarono di preparare il muro e così nell'arco di qualche anno si scrostò tutto. L'opera, come ricordava il maestro "simboleggiava l'Allegria, s'intende la nostra di quegli anni passati nel piccolo e geniale ambiente".
I due artisti che convenivano all'albergo del Davide erano animati da una profonda vena umoristica tanto che nel dipinto raffigurarono "una squisita figura di donna, di fattura classicheggiante, erto nel pugno il rustico tirso di uso nelle feste campestri del luogo: la figurazione dell'Allegria, opera del Fontana. Più in basso una deliziosa figura di bimbo, paffuto e ricciutello, a cavalcioni su un muricciolo, sembrava cavalcare a briglia sciolta alla conquista di un piatto di polenta, sul quale pigolava con profumato spasimo una ghiotta teoria di uccellini: opera quest'ultima di Bignami". Allo spiritoso realismo profuso da Vespa nell'affresco del "Davide" si oppone la rappresentazione di una delle viuzze del territorio lecchese proposta nella tela "Mattino sulla vecchia strada di Maggianico". Nel dipinto il maestro esprime il suo modo di sentire il paesaggio, non strettamente descrittivo ma permeato di sentimento romantico e animato dalla ricerca di luci ed atmosfera. Nelle limpide luci del mattino alcuni passanti - grazie all'uso sapiente di piccole pennellate vaporose - si mescolano alla dolcezza dell'aria.
Questa tela venne presentata all'Esposizione Nazionale di Belle Arti che si tenne a Milano nel 1881, ed ottenne il consenso della critica. Per esempio V. Colombo, la commentava in questi termini: "il soggetto pittorico è un mattino; e il quadro pel giusto sentimento dell'ora, per verità d'ambiente, pel valore dei toni, sembra a tutti uno dei migliori della mostra".
Ma se l'opera presentata alla rassegna ufficiale valse all'artista i favori della critica, nell'esposizione o meglio nella controesposizione, allestita contemporaneamente dalla Famiglia Artistica, i dipinti di Vespasiano conquistarono - per la loro vena umoristica - il pubblico.
Nella Indisposizione di Belle Arti (così venne chiamata la controesposizione) gli artisti non si limitarono a presentare opere permeate di spirito, ma con lo stesso tono giocoso compilarono un catalogo e curarono l'allestimento così che venne posta totalmente in ridicolo la burocrazia e l'ufficialità delle mostre nazionali.
Chi giungeva ai Giardini Pubblici in quel periodo si trovava di fronte ad un palazzo pseudo classico, con ritratti di antichi filosofi entro medaglioni ed un tramway d'età classica. All'interno, entro un percorso che si svolgeva attorno a quattro pilastri denominati Anteo, Atlante, Ettore e Piccalunga, trovarono posto dipinti, bozzetti e statue. Il percorso era suggerito e spiegato dal Libro d'Oro - catalogo guida della rassegna. Questo testo - compilato per lo più da Bignami - oltre a presentare le opere ed a indicare alcune norme generali ai visitatori, dà una definizione pseudo filosofica del riso e traccia, in modo ilare, una breve storia del Comitato Ordinatore dell'Indisposizione.
La vita di questo comitato non viene solamente narrata dall'artista nel catalogo, ma anche nella spiritosa tela "Una seduta del Comitato ordinatore della Indisposizione". Il dipinto, ad una prima lettura, sembra presentare gli organizzatori come una brigata di scapestrati, ma ad una più attenta analisi emerge come Vespasiano abbia usato sapientemente il tono ironico per burlarsi delle tormentate assemblee dei coordinatori delle rassegne ufficiali. A questo proposito, utile è il commento contenuto nel Libro d'Oro. "E' una delle sedute ordinarie. Si sta discutendo sul modo di impiantare i registri dell'amministrazione. Il Presidente, dopo aver data la parola a tutti in una volta, si tura le orecchie. Chi si slancia in un mare di congetture; chi monta su un cumolo di sedie per fare delle considerazioni da un punto elevato di vista; chi sollevando un incidente rovescia il tavolo; chi si aggira in un dedalo di argomentazioni; chi casca... in contraddizione e chi interrompe... il proprio naso portandolo in terra. Il segretario, a cui questo incrociamento di ogni razza di idee impedisce di stendere il verbale, tira giù moccoli dal lampadario, mentre nel fondo, uno che ha conservato la sua calma, si spoglia... da ogni riguardo per potere dire a tutti con la maggiore libertà, come la vede lui. Tutti manifestano però una grande fermezza di spropositi ma, giunto un momento di lucido intervallo, si accordano sulla convenienza di impiegare la sferza del sole come istrumento di correzione nelle scuole governative di pittura".
Oltre ad opere che mettevano in ridicolo scuole e mode artistiche del momento, in mostra vi erano anche tele caratterizzate da una comicità più immediata, ne è esempio l'olio "Post prandium stabis", presentato fuori catalogo da Vespa. Al di là del soggetto ironico, i dipinti mostrano chiaramente la tecnica matura dell'artista.
Infatti dalla "Lezione di botanica" - tela che valse al pittore il premio Mylius nel 1869 - la maniera di Bignami era profondamente mutata. Nel dipinto presentato nel 1869 si riscontra ancora l'influenza degli Induno, anche se la luce madreperlacea, l'effetto atmosferico e la scena definita in modo anedottico lo avvicina al gusto "Biedermeir" viennese; gusto conosciuto a Milano non solo come ovvia conseguenza del dominio austriaco, ma anche per i soggiorni ed i reciproci contatti fra artisti.
Da questo tipo di pittura a carattere aneddotistico, grazie ad una continua ed instancabile ricerca ed agli animati scambi di idee sulla pittura fra i soci del sodalizio da lui fondato, la sua pennellata divenne più morbida e libera e molto sensibile alle vibrazioni della luce.
La nuova tecnica maturata da Bignami negli anni Settanta, che lo lega, anche se in modo singolare, alla tecnica Scapigliata, trovò maggiore applicazioni negli anni Ottanta e Novanta raggiungendo effetti pittorici di particolare interesse. Accanto ad opere come le già ricordate "Mattino sulla vecchia strada di Maggianico" e "Indisposizione di Belle Arti", si possono ricordare il "Ritratto del padre con violino", "Afta difterica" e "Cereghin strepazaa" o "Sabato grasso alla Canobiana". In quest'ultima tela viene presentato un vivace spaccato di vita milanese che la critica ed il pubblico accolsero favorevolmente, tanto da definire il dipinto "una felice e curiosa impressione". Non casualmente venne usato il termine "impressione", l'olio è, infatti, contraddistinto da una pennellata molto morbida e sensibile alle accensioni cromatiche, sottolineata dall'uso di rossi e bianchi puri per gli abiti di alcune maschere.
Molte energie furono impiegate da Vespasiano in campo artistico. Questi non solo si adoperò per una ricerca stilistica sempre nuova ed attenta alle esperienze contemporanee italiane ed europee o nelle battaglie condotte contro l'accademismo delle scuole nazionali accanto al cenacolo sorto nel 1873, ma anche in campo politico e scolastico.
Nel 1889 venne eletto consigliere comunale, nell'ultima legislatura del sindaco Luigi Bellinzaghi, ed in seno al consiglio comunale di Milano non solo sostenne le sue convinzioni di fermo repubblicano ma sottopose alla giunta una serie di problemi e quesiti sull'arte e gli artisti.
Malgrado l'interesse e la caparbietà con cui Bignami caldeggiò i problemi legati alla cultura artistica non ottenne ciò che desiderava, tanto che su un biglietto di quegli anni annotò: "miei dubbi sul pensiero intimo della giunta e in genere delle persone d'affari. Gli artisti sono considerati... come la schiuma nella birra".
Se in ambito politico Vespa non trovò grosse soddisfazioni, queste le ottenne, invece, nell'insegnamento. Nel 1893 venne nominato professore di disegno di figura presso la Reale Accademia di Brera, cattedra che tenne sino al 1921, quando per raggiunti limiti di età si vide costretto a lasciare la scuola.
Al concorso per la cattedra di disegno del 1893 Bignami presentò, con altri lavori, la tela "La Madre del Redentore", dipinto che venne premiato l'anno seguente alla III Esposizione Internazionale di Vienna. L'opera mostra l'attenzione e la capacità di apertura del cinquantaduenne maestro verso la pittura "ideista" che in quegli anni era al centro dei dibattiti artistici. Il dipinto è inconsueto non solo per la scelta del soggetto ma anche per la realizzazione. Infatti lo sguardo dello spettatore è attratto dalla luce intensa che circonda il volto della donna ed accentua l'atmosfera visionaria di cui è permeata la scena; solo in un secondo momento si scorge la croce ai piedi della figura ed il colore degli abiti che la identificano con la Vergine.
E', quindi, possibile parlare di pittura "simbolica" ponendola in relazione ad alcuni pensieri di Vittore Grubicy, anche se il critico propugnava esiti diversi da quelli proposti da Bignami.
L'attenzione di Vespa per la nuova corrente "ideista" era stata sottolineata anche dalla critica, tanto che erano state riscontrate influenze dell'attività di Gaetano Previati. Queste affermazioni causarono il disappunto del pittore, che in uno scritto del maggio dello stesso anno annotava come il dipinto proponeva un soggetto da lui trattato negli anni Ottanta e ribadiva che l'opera di Previati l'aveva vista solo ed esclusivamente alla Triennale di Brera del 1891. Il disappunto di Bignami è in fondo giustificato, perchè se da un lato la tela documenta la sua apertura verso le nuove correnti simboliste-fideiste che si andavano diffondendo nell'arte italiana, dall'altro l'interpretazione proposta da questi è più vicina alla pittura neorinascimentale-idealista che animò il cenacolo artistico romano di Nino Costa.
Una personale interpretazione di stilemi neorinascimentali caratterizza le tre tele che Vespasiano eseguì nel 1897 per il foyer del teatro Nazionale di San Josè in Costa Rica.
Questi presentano una settantina di figure che si muovono fra molte nuvole e lembi di cielo e raffigurano la Musica, la Danza (nella foto sotto) e la Poesia. Stilisticamente i corpi delle figure sono resi con tale dolcezza e grazia da richiamare alla memoria la statuaria prassitelica; tuttavia alcune parti presentano caratteri più romantici, come la figura femminile della Poesia, o più descrittivo-realiste; quali le donne ritratte nei loro costumi regionali nella tela "La Musica". Per lo stesso teatro, contemporaneamente, lavorarono altri artisti lombardi: lo stesso Roberto Fontana eseguì la tela per il velario della platea ed il soffitto del palco presidenziale.
Non mancarono nella produzione di Bignami a cavallo dei due secoli dipinti caratterizzati da quell'umorismo che distinse l'artista nelle feste della Famiglia Artistica. Per quanto riguarda queste ultime, Vespa, in collaborazione con altri soci, ricreava particolari situazioni, personaggi od eventi; fra le più riuscite ed entusiasticamente appoggiate dalla stampa Milanese si possono ricordare: "L'Osteria di trii occh", "L'Onomastico del Padre Eterno" e "La Foresta imbalsamata".
Per la realizzazione di quest'ultima nel refettorio dell'ex convento del Carmine - allora sede del sodalizio - venne costruita una "selva selvaggia" dove Bignami vestito da Dante declamava versi parafrasati della Divina Commedia.
Nella sua discontinua produzione del Novecento - l'artista morì ad ottantotto anni nel febbraio del 1929 - molto forte è la nostalgia per gli anni giovanili e per particolari-momenti ed abitudini di vita meneghina che l'industrializzazione stava completamente cancellando: ne è esempio l'acquerello "Fiera di Porta Vittoria al Tivoli marzo 1879".
Per questa opera, eseguita nel 1917, l'artista si ispirò ad un festoso momento della vita postunitaria, come testimoniano gli svolazzi dei tricolori, i giocolieri in azione, le divise militari e gli abiti delle figure.
Non va dimenticato che l'unità delle arti bandita da Rovani permeò l'animo di Vespasiano sino alla morte; infatti una delle sue opere più conosciute e che riassume la sua particolare adesione al movimento scapigliato, venato di sentimentalismo romantico, è il ritratto, eseguito nel 1906, dello scomparso amico Amilcare Ponchielli.
Annamaria Isacco, laureata in Lettere Moderne, indirizzo storico-artistico, è insegnante e pubblicista
(da "LECCO ECONOMIA", rivista della Banca Popolare di Lecco, n. 2 - giugno 1993)
"LA DANZA", 9,83 metri di altezza e 5,13 metri di larghezza, nel foyer del teatro di San Josè, in Costa Rica (Teatro Nazionale)
"Mattino sulla vecchia strada di Maggianico"