Maggianico: la SCAPIGLIATURA A BARCO

la Scapigliatura a Barco

(da "C'e' citta' e citta' " di Gian Piero Gerosa, stampato nel luglio 1949 da Casa Editrice G. Stefanoni - Lecco)

Chi penserebbe oggigiorno di scegliere come luogo di villeggiatura Maggianico (senza alcuna intenzione offensiva nelle mie parole), se non fosse perche' vi risiede qualche parente che ha il vantaggio di offrire un alloggio economico?
Ben pochi, concedetemelo.
Non era cosi' settanta o ottanta anni fa. Allora le strade si inerpicavano pochissimo su per le montagne e i mezzi per arrivarvi si limitavano quindi al cavallo di S. Francesco, economico, ma scomodo. La scelta dei villeggianti cadeva percio' con facilita' su Maggianico e dintorni. Questo ridente paese pero' non offriva, a quei tempi, la sola attrattiva di essere stazione di villeggiatura climatica, turistica e di cura per la fonte, ma richiamava i forestieri anche per il fatto che vi aveva piantato le tende un buon gruppo di artisti, facenti parte di quel fenomeno che va sotto il nome di scapigliatura lombarda. In questi giorni uno di costoro e' tornato a far parlare di se' la stampa, il musicista Carlo Gomez, dalla vita e da un' opera del quale, il Guarany, si sta traendo un film. Film che viene girato in Brasile, essendo il Gomez figlio naturale dell' Imperatore di questa nazione, trascurando cosi' gli anni trascorsi da costui a Barco, frazione di Maggianico.
Barco: un nome che ora risuona ben di rado sulla bocca degli abitanti del territorio. Di tutta l'erba si fa un fascio e i quattro rioni che formano Maggianico vanno complessivamente sotto quest'unico nome. Barco e' il paesello che sorge lungo la linea ferroviaria a tre chilometri da Lecco, sotto al Magnodeno, montagna popolata di castagneti e, un tempo, di molti ulivi, ricca inoltre di acque fluenti in bianche cascatelle.
Il Ghislanzoni ci dice che un secolo fa esso era "Un pacifico nido di coloni dalla vita patriarcale".
Le case erano schierate sulla strada della chiesa; l'operosita' industriale del territorio lecchese, pure allignandovi con filande e opifici congeneri, vi faceva la figura dell' intrusa. Sotto l'aspetto morale, il Ghislanzoni sempre ci ha rappresentato Barco come 'Una confraternita cristiana, votata al lavoro, alle aspirazioni ascetiche e alla preghiera.
La tranquillita' del paesello fu turbata improvvisamente allorche' nel 1850, un contadino assetato, curvandosi per bere ad una sorgente smarrita tra gli arbusti, asserii con disgusto che quell'acqua puzzava maledettamente di "Uova fradicie". Dall'accorrere di chimici e di medici, in seguito alla scoperta, ricevette il battesimo una fonte minerale con acqua dotata di zolfo, magnesia ed altri sali efficacissimi. Cio' risulto' all'analisi fatta da Padre Nappi. Un opuscolo del padre del Ghislanzoni, medico, propagando' l'acqua per la cura di malattie varie, tra cui la gastro-enterite, l'epatite, l'uretrite. Nei pressi della sorgente fu eretta una baracca di legno disadorna, battezzata nientemeno col nome di caffe', e le due osterie del villaggio, con una ventina di letti in tutto, ospitarono a fatica ammalati che accorrevano da tutte le parti della Lombardia.
Mancavano quindi quelle comodita' e quelle attrattive che fanno la fortuna di un luogo termale (c'erano in tutto due vasche per i bagni).
Gli uomini all'antica e gli amanti del quieto vivere benedicevano questo stato di .cose perche' temevano, con lo svilupparsi delle terme, un fiorire di scandali e di immoralita'.
Sorse finalmente un albergo, che veniva aperto al pubblico nella grande stagione e che il Ghislanzoni trova male architettato ed insufficiente.
E nacque, forse dal battesimo delle contrade con nomi fantastici e di musicisti, una banda musicale con tanto di divisa.
Verso il 1875, Barco comincio' ad acquistarsi una buona notorieta' artistica. Il paesaggio e la natura v'erano amiche con la calma, l'amenita', la bellezza, cosi' che le arti vi si davano convegno e le Muse fornivano le loro ispirazioni copiosamente.
Qui gli artisti di ogni genere vi trovavano la pace richiesta e il desiderato contatto con la natura, tra quel verde in cui il villaggio era ed e' tuttora immerso.
Barco ospito' in quei tempi musicisti come Amilcare Ponchielli e Carlo Gomez, poeti e giornalisti come Antonio Ghislanzoni, concertatori come l'Appiani, violoncellisti come il Braga, pittori come il Bignami e il Fontana, compositori come il Cagnoni, il Dall'Olio e il Petrella. I musicisti, come si vede, eccelsero nella brigata per qualita' e numero. Venivano per ragioni di libretto, ma una volta approdati subivano il fascino del luogo: con queste parole il Ghislanzoni tratteggia efficacemente le ragioni della predilezione mostrata dagli artisti per Barco. E al Ghislanzoni stesso spetta il merito di avere richiamato in questo paesello i musicisti: egli godeva allora fama di librettista principe e musiche famose nascevano allora sullo schema dei libretti del poeta lecchese. (Vedi l'Aida di Verdi per tutte).
Il Ghislanzoni uso' tutte le astuzie della sua eloquenza per convincere gli illustri musicisti venuti da lui a rimanere in quel sereno paese non esistendo in Europa una zona campestre piu' propizia al risveglio delle ispirazioni e ... dell'appetito. E indusse il Ponchielli e il Gomez a costruirvi perfino delle ville, spiccanti tuttora nell'edilizia del paese.
Musica e ... pranzi allettavano gli ospiti. Il Petrella, venutovi piu' volte, andava pazzo per gli agoni e le trote. L'ultima volta che vi torno' fu desolato perche' non riuscirono a pescargli una trota in tutto il lago. Se non l'avesse sorpreso inaspettatamente la morte, dice il Ghislanzoni, anche il Petrella avrebbe eretto la sua capanna a Barco, non fosse altro per amor delle trote. I pranzi piu' prelibati venivano preparati dall'oste Giuseppe Invernizzi, piu' noto come Davide, soprannome che costituiva anche l'insegna dell'albergo.
Concorse anche costui, ma non solo con la sua cucina, a trattenere gli artisti, innamorati del territorio: era un uomo che, sotto una ruvida scorza, aveva un'intelligenza e un savoir faire eccezionali.
La gloria di avere intrattenuto a Barco l'autore della Gioconda spetta esclusivamente all'oste Giuseppe Invernizzi, lascia detto il Ghislanzoni.
Chi nomina Barco, soggiunge Davide... Chi e' costui? Una grande energia paesana guidata dal buon senso piu' retto e dagli istinti piu' onesti... uomo d'acciaio... personifica il progresso di Barco... un coltivatore, raddoppiato di macellaio, di sensale, di negoziante di pellami, di vetturale, di suonatore di tromba e di sindaco. Vangando i terreni altrui, aduno' il valsente per acquistarli... apri' un'osteriuccia... compero' la casa.
Cosi' il Ghislanzoni ci descrive il Davide e termina, ultima ed efficace pennellata, col dirci che esso e' un'anima d'artista. Dell'arte ha sortito gli istinti e, non potendo altrimenti, li manifesta colla devozione e colla entusiastica ammirazione di chi l'arte professa. Chiamatevi pittore, musicista o poeta e all'albergo di Davide le camerette piu' confortevoli, gli intingoli piu' ghiotti, i vinetti piu' esilaranti saranno per voi. E gli artisti non furono ingrati.
Il suo albergo aveva sede nella casa che fu prima del Ghislanzoni e che costui vendette per pagare il tipografo che gli stampava la Rivista minima, fondata e diretta da lui stesso. Prova questa dell' indipendenza del lavoro e delle idee del giornalista lecchese.
Tra le soddisfazioni toccate al Davide per la sua fatica artistica, vi furono, graditissimi, dei dipinti eseguiti a secco dal Fontana e dal Bignami, arguti scapigli'ati tra gli scapigliati, sulle muraglie dell'albergo. Un lavoro eseguito non certo per acquistarsi gloria, su un'imbiancatura della scaletta che portava ai piani superiori e lungo un terrazzo che dava sul cortile. I dipinti raffiguravano una testa di donna e una baccante audace, circondata da amorini che scherzano intorno ad un grandioso disco di polenta. Completava l'opera una scherzosa iscrizione: "Questo dipinto nell' anno 1874 fecero colla massima indifferenza Roberto Fontana e Vespasiano Bignami".
Fu questo un gesto di riconoscenza al bravo Davide da parte degli entusiasti artisti suoi ospiti.
Il Bignami ricordava sempre l'accoglienza fattagli dal Davide, l'anno che questi si reco' personalmente alla stazione di Calolzio, ove era piu' comodo scendere, a prenderlo con una vettura; e quando furono in vista all'albergo, il Davide estrasse una tromba, cui diede fiato per solennizzarne l'arrivo dell'artista, al quale toccarono inoltre festeggiamenti sontuosi, tra il serio ed il faceto.
Il Davide prese invece successivamente sul serio gli affreschi fatti in suo onore sui muri dell'albergo. L'estro degli artisti venne sorretto, durante il lavoro, da bottiglie di vino bianco, omaggio dell'albergatore. Venne il giorno dell'inaugurazione, con un programma vario, tra cui inizialmente lo scoprimento dei capolavori. E il Davide, buon uomo che era, si diede arie da mecenate. Ci fu un discorso ufficiale del Bignami e l'incoronazione degli autori del dipinto da parte di Re Davide che aveva in testa una corona di cartone e stagnola dorata e un lenzuolo sulle spalle. Nel momento piu' solenne, tra l'attenzione viva degli artisti, dei villeggianti e degli abitanti convenuti, immersi in quell'aria scapigliata e goliardica, il naso di Davide afferro' da lontano un odore di bruciato. Costui trasali' e, tra l'allarmato e il desolato, abbandono' a precipizio il nobile consesso gridando: "Me' brusa' el rost".
Mentre il Davide era, con la sua viva personalita' il centro di questa brigata di scapigliati, il Ghislanzoni ne fu l'animatore e il piu' costante ed assiduo frequentatore. Interessantissimo conversatore dalla parlata colorita e faceta, cui una piccola balbuzie conferiva ridanciana vivacita' ed efficacia, umorista completo ed umanissimo, satiro pungente e critico provveduto per ogni arte, uomo intelligentissimo, sincero e ricco nella sua poverta', poeta brillante, il Ghislanzoni riempiva con la sua figura le riunioni della geniale e spensierata brigata di artisti di Barco. Quand' egli stava nell'albergo del Davide, andava sempre a finire che tutti i frequentatori si radunassero intorno al suo tavolo a godere delle schioppettanti frizzatine verso tutti e tutto, degli arguti commenti agli avvenimenti del giorno, delle profonde discussioni artistiche, degli esilaranti aforismi che nascevano da quel convegno. Solitamente completava e chiudeva la serata una cenetta a modo o una bicchierata senza risparmio e, se era la stagione, una pentola di castagne lessate o una padella di caldarroste, intorno alla quale facevano circolo artisti ed amici e il Davide, alternantesi questi tra i clienti normali e l'allegra compagnia.
Un altro noto componente della brigata era, come gia' dicemmo, il Ponchielli, di tutti il piu' famoso, che lego' il suo nome al paesello anche costruendovi una magnifica villa, tra la strada e la ferrovia, un po' isolata dall' abitato, su un piccolo promontorio. L'autore della Gioconda non era stato certamente nella sua giovinezza favorito dalla fortuna, ne' ben trattato dagli uomini. Dai suoi modi di fare e dalla sua figura appariva subito il segno delle difficolta' che avevano ostacolato il suo cammino in mezzo ad una societa' che non gli era benevola. Inabile alla cortigianeria, fi'dente nel suo valore, egli non seppe, ne' volle usare astuzie o strategie e punto' sulla sua potenza di mezzi per conquistare il successo. Riusci' cosi' a superare il periodo critico passato consumandosi a Cremona negli esercizi piu' spietati che una citta' di prooincia possa infliggere ad un maestro, come dice il Ghislanzoni. Dopo tanta ingiustizia di cui furono oggetto lui e le sue opere, l'oscuro capobanda di Cremona fu consacrato maestro al teatro Dal Verme, grazie ai suoi Promessi Sposi: fu un successo strepitoso, che fece eco e lo sbalzo' di colpo alla ribalta con riconoscimento unanime dei suoi meriti. Avendo ancora nell' orecchio il caldo fragore delle acclamazioni, il Ponchielli si ritiro' nell' ambiente sereno e propizio del territorio lecchese; il suo animo si ricompose dall' emozione del successo e assaporo' la gioia della natura felice di quei luoghi. Vagheggiava la composizione di un idillio di arte e d'amore, meditando sotto l'occhio delle verdi montagne e del ridente lago. Abbandono' per qualche mese Lecco, per ritornarvi in compagnia della cantante Teresina Brambilla, che aveva contribuito al successo dei Promessi Sposi e alla quale egli s'era nel frattempo unito in matrimonio. Trascorsero la loro luna di miele, coppia felice e bene assortita, all'albergo del Porto, invidiati e ben voluti da tutti. Maestro acclamato lui e cantante di vaglia lei, ma nessuno dei due si atteggiava a genio. Trascorsero i loro giorni nei luoghi manzoniani, associando nel pensiero i ricordi del romanzo a quelli dell' opera musicale. L'autore dei Promessi Sposi, dei Lituani e della Gioconda, si innamoro' cosi' ancor di piu' del territorio lecchese e penso' di costruirvi la sua casa. Dopo vari viaggi e permanenze nei luoghi piu' ameni della nostra penisola, con negli occhi i piu' incantevoli panorami che lo avrebbero potuto rapire, il Ponchielli torno' al caro paesello dei suoi amori, pieno l'animo di nostalgia per le cime ineguali, per le arcadiche selve, per le sottili cascate, per l'azzurro lago. Si stabili' dapprima, strana coincidenza, dove gia' aveva abitato l'autore di un altro Promessi Sposi, il Manzoni, nella villa al Caleotto. Villa che, tre anni prima che vi ponesse dimora il Ponchielli, fu abitata da Errico Petrella, autore di un' altra opera musicale dal titolo I Promessi Sposi. Costui vi consumo' i magri redditi della sua fatica ed esauri' gli ultimi spiccioli del suo patrimonio melodico, mentre il suo successore vi vagheggio', dopo il primo trionfo, conquiste piu' ardue. Il Ponchielli, mentre vi componeva la Gioconda, i Lituani, il Figliol Prodiqo e i Mori di Venezia, passo' sette anni di indecisione e di incertezza per la scelta della posizione piu' adatta alla costruzione della sua casa. A levargli ogni dubbio al riguardo, ci volle la ferrea volonta' dell' albergatore di Barco, il Davide. Era il sogno di questi di assicurare al paesino, di cui era sindaco, la stabile permanenza dell'ammirato maestro. Il Davide avrebbe vagheggiato la villa nei pressi della famosa fonte; dovette comunque impiegare un' ardua battaglia per convincere il musicista a impiegare in questo modo il gruzzolo che la prima opera gli aveva fruttato. Dopo discussioni accanite e sopralluoghi lunghissimi, la scelta cadde sul promontorio di cui dicemmo. Il Davide usci' quindi sconfitto per cio' che riguarda l'ubicazione, ma l'aveva spuntata per la cosa piu' importante: quella di trattenere il Ponchielli nel territorio lecchese. Amilcare Ponchielli assorbi', dalla sbrigliata compagnia che frequentava, l'abitudine e il piacere dello scherzo e delle facezie. Capitava spesso dal Davide un caratteristico tipo di organista che veniva per deliziare i signori con le sue melodie. Essendovi il Ponchielli arrivato una sera, assente ancora l'organista, imito' i modi e i gesti di costui e si sedette al cembalo facendone un'arguta e piacevole parodia, che fu applauditissima. Terminato lo scherzo, corse via, forse a chiudersi in casa, con l'animo ricolmo di nuove melodie ispirategli dall'allegro giuoco in cui s'era esibito all'albergo.
Carlo Gomez, con un carattere tutto l'opposto dell'amico, e cioe' deciso e impaziente, affido' al Davide quale suo factotum, l'incarico di occuparsi e di sorvegliare i lavori per la costruzione della villa. Villa che sorti' sontuosa come un palazzo e con un vastissimo parco (circa 14 pertiche), attraversato da un diritto viale. Il fabbricato e' rasente alla ferrovia e dista poco piu' di cento metri da quello del Ponchielli ..
L'impazienza febbrile dell'autore del "Guarany" si comunico' a tutti coloro che lavoravano alla costruzione, cosi' che la fabbrica procedette a tutto spiano. Non volendo sottoporsi al supplizio di attendere il compimento, il Gomez decise di partirsene. Diede gli ultimi ritocchi al disegno ... - narra il Ghislanzoni - chiamo' il Davide e, ponendogli innanzi un bel cumulo di banconote da lire mille, "Eccoti - gli disse - quanto occorre per l'impianto della casa, addio! Tornero' fra otto mesi; dammi la tua parola d'onore che alla sera dell'arrivo potro' dormire nella mia villa". Allorche' il focoso maestro torno' dal Brasile trovo' che il Davide aveva eseguito il mandato. Infatti l'albergatore ci teneva a queste cose in modo particolare!
Era' cosi' pronto l'ambiente ove il brasiliano avrebbe composto i suoi spartiti che sarebbero seguiti al Guarany, al Salvator Rosa, alla Fosca, alla Maria Tudor. Creo' nuovi capolavori, sulle orme dell'amico Ponchielli, come gia' ne aveva seguito l'esempio venendo a Lecco per ragioni di libretto, e cioe' per trovarsi vicino al suo poeta e per trascorrervi poi la luna di miele. Il Gomez risiedette saltuariamente nel nostro territorio e non fu, come gli altri, assiduo frequentatore del Davide; preferi' spesso la quiete del suo parco e la sontuosita' della sua villa alla compagnia scapigliata.
Quasi di colpo la fortuna di Barco, per un seguito di circostanze tramonto'. Il Ponchielli chiuse la sua giornata terrena, l'Appiani segui' la sua via, piena di successi, lungi dal paesello di cui fu assiduo ospite, il Gomez vendette la sua villa e se ne parti', il Ghislanzoni si chiuse in se stesso.
Termino' cosi' il luminoso periodo, durato circa un decennio, durante il quale Barco era assurto a a fama nazionale e aveva vissuto giornate intense.
Affluirono ancora villeggianti che prendevano il tono dell'ambiente, fatto di semplicita' e di cordialita', ma il numero e la qualita' degli artisti ando' via via scemando.
Per qualche tempo ancora persone ammalate di pirosi, di epatite o di qualcos'altro, convennero a Barco per lo stabilimento balneario, non dimenticando peraltro di fare gli occhi dolci alle belle lecchesi, che a quell'epoca si affollavano a torme sul luogo per isfoggiarvi le trasparenze delle candide mussoline, finche' anche la fortuna della fonte e delle terme non si oscuro'.